“Extra fines”, intercettazioni in carcere: Catania, “mai chiesto aiuti a Rinzivillo”

 
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Gela. Prosegue la complessa istruttoria dibattimentale, nel giudizio scaturito dall’inchiesta antimafia “Extra fines”. Sia mercoledì che ieri, in aula davanti al collegio penale del tribunale, si sono susseguite le testimonianze degli investigatori, di testi delle difese e di uno degli imputati, l’imprenditore Emanuele Catania. Gli investigatori sentiti, rispondendo alle domande delle difese, sono ritornati sui colloqui intercettati in carcere, concentrando l’attenzione sugli ergastolani Antonio Rinzivillo e Crocifisso Rinzivillo, che secondo i pm della Dda di Caltanissetta (l’accusa nel giudizio è sostenuta dal pm Luigi Leghissa) avrebbero affidato il comando della famiglia al fratello, il sessantenne Salvatore Rinzivillo, ritenuto figura di riferimento dell’intera indagine e a giudizio in un altro troncone processuale. I Rinzivillo nei colloqui intercettati avrebbero parlato di condizioni economiche molto difficili, anche per la gestione dei tanti procedimenti penali che li riguardano. Tra i fatti ricostruiti, anche l’interesse di un esercente locale per un investimento a Roma, destinato all’acquisto di un immobile per avviare un’attività di ristorazione. Secondo gli inquirenti, Salvatore Rinzivillo avrebbe avuto un ruolo centrale, anche se i testimoni hanno escluso collegamenti diretti con il sessantenne, attualmente detenuto i regime di 41 bis. L’imprenditore Emanuele Catania, tra i soci di un importante gruppo attivo nel settore del commercio ittico, ha parlato con l’intenzione di allontanare qualsiasi sospetto su rapporti diretti con Rinzivillo. “Non gli ho mai chiesto di interessarsi della riscossione dei crediti per mio conto – ha detto – ogni tanto, quando era in città, passava a trovarmi, ma solo perché c’era un’amicizia legata a rapporti di parentela, attraverso mia moglie. Non ho mai dato denaro a Rinzivillo per occuparsi degli interessi delle nostre aziende. Ricordo che proprio per i rapporti di parentela, quando era molto giovane partecipò al mio matrimonio”. L’imprenditore ha risposto alle domande del suo legale, l’avvocato Giacomo Ventura, che ha anche prodotto una vecchia foto, risalente ai festeggiamenti di quel matrimonio. Il pm Leghissa ha però richiamato alcune note commerciali trovate nella disponibilità di Rinzivillo e riconducibili a Catania, che ha ribadito di non aver mai ricevuto vantaggi dalla conoscenza di Rinzivillo, spiegando di essere stato più volte vittima di danneggiamenti e richieste estorsive. Davanti ai giudici del collegio penale (presidente Miriam D’Amore), sono a processo Antonio Rinzivillo, Crocifisso Rinzivillo, Umberto Bongiorno, Emanuele Catania, Rosario Cattuto, Angelo Giannone, Carmelo Giannone, Giuseppe Licata, Francesco Maiale, Antonio Maranto, Antonio Passaro, Luigi Rinzivillo, Giuseppe Rosciglione, Alfredo Santangelo, Vincenzo Mulè, Luigi Savoldi e Fabio Stimolo.

Sono stati analizzati ulteriori aspetti sulla posizione di Antonio Passaro, con il difensore Giovanna Cassarà che ha ripercorso i rapporti dell’imputato con altri coinvolti nell’inchiesta, ma legandoli solo a vincoli di amicizia. Secondo questa linea, Passaro pur avendo avuto precedenti per mafia ormai da tempo sarebbe stato fuori da ogni contesto criminale. Il legale Boris Pastorello ha approfondito gli aspetti legati ai capi di imputazioni contestati a Umberto Bongiorno, facendo notare che nell’eventuale investimento romano non avrebbe mai svolto un ruolo attivo. Tra i difensori degli imputati ci sono inoltre gli avvocati Flavio Sinatra, Riccardo Balsamo, Mirko Maniglia, Luigi Pipitone e Carmelo Ferrara.

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