Villa Greca: Prometeo sugli scudi!

 
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Gela. Evento doveva essere ed evento è stato. Dinanzi ad una variopinta cornice di persone affamate di arte e di cultura, Daniele Salvo e i suoi hanno dato l’ennesima prova di come va inteso e realizzato il grande teatro. D’altronde, il lungo applauso che è seguito alla conclusione del “dramma per eccellenza” è stato il marchio che ha suggellato un fatto che è destinato a restare indelebilmente nella storia della nostra città. Mi sono sbagliato: gli applausi tributati coralmente ai protagonisti hanno visto quattro momenti e ogni volta aumentavano di intensità e di durata. Già prima che venissero spente le luci per dare inizio allo spettacolo, l’anfiteatro veniva attraversato da un quasi palpabile flusso di energia che poche volte prima avevamo provato. Un pubblico appassionato e particolarmente attento ha seguito lo svolgersi, dal principio alla fine della rappresentazione, della trama accattivante che il regista Daniele Salvo ha saputo tessere. Non nascondo che sulle prime ho avuto qualche perplessità su come fosse stata allestita la scena, ma subito mi sono reso conto che la soluzione pensata dal regista fosse funzionale all’economia e alla resa teatrale. Grande prova attoriale ha dato Alessandro Albertin, calatosi totalmente, anima e corpo, lui maestoso, nel ruolo maestoso di Prometeo. Sempre puntuale coi tempi nei suoi accorati interventi, mai una sbavatura, mai che il tono non fosse appropriato alle circostanze. Che teatro sarebbe se, in particolari momenti che chiamerei climax, non colpisse l’inconscio degli spettatori? E i momenti di questi picchi di grande arte teatrale sono stati diversi, ma due soprattutto mi sono parsi da antologia. Il primo, quando Prometeo (Albertin) ha snocciolato la lunga teoria dei doni fatti all’uomo; il secondo quando orgogliosamente è andato incontro alla punizione finale, sprofondando nell’abisso, in un crescendo di tuoni e lampi apocalittici. In tutte e due i casi, ho avuto la netta sensazione di assistere ad una sorta di crescendo rossiniano che non avevo mai visto e sentito prima in un teatro. E, confesso, mi sono pure commosso. E subito mi è venuto in mente Eschilo, immaginandolo appollaiato, non visto, in cima all’anfiteatro, sorridente di gratitudine per quanto uomini di circa ventiquattro secoli dopo hanno tributato al suo, universalmente noto, talento di tragediografo. Gela ed Eschilo, più che mai, indissolubilmente uniti per l’eternità. Melania Giglio, nota, affermata, talentuosa e versatile attrice (e non solo) ha ottimamente sostenuto la parte di Io, la bellissima sacerdotessa tentata e posseduta da Zeus con uno stratagemma, infaticabilmente errante poi perché perennemente inseguita e molestata da un tafano mandato da Hera per punire il passionale, ma anche codardo e bugiardo, marito Zeus. Ma so che, passando oltre, non le avrei reso pienamente giustizia per quello che ci ha mostrato delle sue capacità interpretative. Chi ha letto l’opera di Eschilo sa dell’inarrestabile strazio subito da questo personaggio (Io) Ebbene, Melania Giglio ha tirato fuori una prestazione al limite delle possibilità interpretative, in un delirio tale da farci dimenticare la scena, essendosi essa stessa fatta scena. Non la dimenticheremo facilmente! L’ambiente in cui veniva rappresentato il Prometeo, ha consentito al regista Daniele Salvo di farci omaggio di un colpo di scena sensazionale. Il nutrito gruppo delle oceanine, che nell’opera di Eschilo arriva con un cocchio alato nel luogo dove Prometeo è costretto a scontare la pena, è emerso direttamente dal mare. L’effetto? Strabiliante! Le Oceanine hanno movimentato la scena con una bravura tale da far pensare di trovarci, non di fronte a delle semplici comprimarie, ma protagoniste di primo piano, come d’altronde il loro ruolo richiedeva. Marcella Favilla, Francesca Maria, Giulia Galiani, Marta Nuti, Giulia Diomede, Giuditta Pasquanelli, Ester Pantano non hanno svolto semplicemente il compito di riempire la scena, ma hanno avuto, ciascuna, fungendo anche da coro, la possibilità di far valere il loro talento. Bravo Simone Ciampi nel doppio ruolo di Efesto ed Hermes, sdolcinato e ironico ma capace di una profondità di toni inaspettata, a tratti oracolare. Bravo Martino Duane nel ruolo di Oceano e Salvo Lupo nel ruolo di Ananke, in qualche modo l’equivalente del destino o della necessità. Adeguati i costumi, le scene e le luci curati rispettivamente da Daniele Gelsi, Fabiana Di Marco e da Giuseppe Filipponio.

Ma una nota particolare è doveroso mettere in evidenza e riguarda Michele Di Dio, produttore dello spettacolo. Quando si parla di produttori, si pensa magari a persone manifestamente o segretamente gonfie di sé, se non addirittura altezzose. Non è certamente il caso di Michele Di Dio, lontano le classiche mille miglia dal manifestare atteggiamenti che non siano di cordialità e disponibilità. Senza contare quanto sia stato solerte dal primo pomeriggio fino alla conclusione dello spettacolo perché ogni tassello dell’organizzazione andasse al posto giusto e nel momento più opportuno. E un elogio va doverosamente a tutti coloro che hanno collaborato direttamente e indirettamente alla riuscita dello spettacolo: per tutti, Fabiola Polara della Kroma production che ha profuso (ripeto insieme con tutti gli altri dell’organizzazione) un impegno e una passione da encomio. Confesso, però, che, per quanto generose e ricercate siano state fino adesso le mie parole, so che sono ancora inadeguate per descrivere ciò che è accaduto domenica sera nella Villa Greca. Non mi riferisco solo al colpo d’occhio che le mille e seicento persone assiepate sui gradoni dell’anfiteatro hanno offerto agli occhi magici dei telefonini e delle videocamere. Non mi riferisco neanche e solo alla bellissima serata, dal punto di vista meteorologico, che ci ha consentito di godere anche della bellezza che il mare illuminato dalle luci della notte ha accompagnato le ore dell’evento. Mi riferisco, soprattutto, al fatto che il battesimo dell’anfiteatro della Villa Greca è stata l’occasione insperata perché potessimo cantare le lodi del teatro e della sua vitale importanza per l’uomo. Daniele Salvo, nella sua acuta e dettagliata presentazione dell’opera di Eschilo, fa anche riferimento a ciò che ha detto un grande maestro: i testi antichi sono come i segnali provenienti da stelle luminose ormai scomparse. Beh, mi permetto di apportarvi una piccola correzione: i testi antichi sono ancora stelle vive che continuano ad emanare la luce di sempre e lo faranno per sempre, almeno fino a quando due uomini avranno voglia di raccontarsi delle storie. Perché dovremo sempre fare i conti con Omero, Ovidio, Esiodo, Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane, Platone, Aristotele e via via anche con Virgilio e poi, anche se più recenti, con Dante, Shakespeare, Goethe e con tutti coloro che hanno portato la loro luce nella grande, terribile quanto prodigiosa anima umana. Dunque, abbiamo assistito ad una prova teatrale che ci ha fatto riflettere sulla miseria quanto sulla grandezza dell’uomo. Ho parlato a lungo con l’amico Luigi Greca su come il teatro possa rivelarsi un mezzo miracoloso, quasi imprescindibile, per innescare un circolo virtuoso per il riscatto di una città che tante straordinarie possibilità ha di svilupparsi, come suole sempre ripetere lo stesso Luigi Greca, alla maniera di New Orleans e di cui ho già scritto in un mio precedente intervento. Non per nulla Garcia Lorca soleva rimarcare come un popolo che non aiuti e non favorisca il suo teatro, se non è morto, sta morendo. Dunque, diciamo che il primo passo, magari ancora piccolo, è stato fatto, vista anche la risposta di piena adesione che la gente di ogni ceto sociale ha inequivocabilmente dato a tutta la famiglia Greca che, voglio sottolinearlo, è stata più volte gratificata da lunghi, scroscianti e frenetici applausi. Intanto, non resta che indirizzarci un augurio: che il trio Daniele Salvo – Michele Di Dio – Luigi Greca possa ancora trovare l’intesa per altre proficue e gratificanti collaborazioni. Appoggiati alla ringhiera dinanzi all’incantevole spettacolo che ci regalava il mare, un momento prima di congedarmi da lui, guardandomi visibilmente contento della serata appena trascorsa, Luigi Greca mi ha sussurrato: Davvero, questa sera, le stelle si sono allineate su Gela! Mi sono girato da un’altra parte per non rischiare di sorprenderlo mentre una lacrima gli solcasse il viso.

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