Parla Celona: “non posso accudire papà in ospedale, ho sparato a compagno stanza”

 
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Gela. I giovani killer gelesi erano di casa a Niscemi: sarebbero stati proprio loro, infatti, a trucidare, nell’ottobre di tredici anni fa, l’allora ventunenne Roberto Bennici e a ferire gravemente l’ambulante sessantenne Francesco Nanfaro.

Una spedizione, come confermato da alcuni di loro, oggi collaboratori di giustizia, voluta dalla triade composta da Giancarlo Giugno, Salvatore Calcagno e Giovanni Passaro, assistiti da Giuseppe Tasca, Pasquale Trubia, Emanuele Cassarà ed Emanuele Iozza.
A dare l’autorizzazione ai “carusi”, in ogni caso, doveva essere il boss Antonio Rinzivillo.
“Essendo mio padre ricoverato all’ospedale civico di Caltagirone per un intervento chirurgico al rene ha dichiarato il collaboratore Luigi Celona – chiedevo a mio fratello Angelo di andarlo a trovare ma mi ha subito detto che non poteva in quanto vi era ricoverata una persona che lui stesso aveva ferito durante un agguato dentro un bar di Niscemi, precisando che in quell’agguato aveva assassinato un’altra persona unitamente a Francesco La Cognata”.
Era il culmine della lotta fra stidda e cosa nostra. Proprio alla stidda della famiglia Russo avrebbe aderito il benzinaio Roberto Bennici che venne mortalmente colpito da Angelo Celona e Francesco La Cognata, accompagnati in auto da Emanuele Trainito: a sua volta, ucciso, giovanissimo, per mano degli stiddari.
La spedizione contro Bennici sarebbe stata organizzata all’interno di una delle basi logistiche del gruppo: un casolare di contrada Bonincontro, al confine con il piccolo centro ragusano di Acate. Conferme, sotto questo profilo, sono giunte dalle parole di altri due collaboratori di giustizia, ritenuti assai attendibili dai magistrati della Dda di Catania e dai colleghi di Caltanissetta, Emanuele Terlati ed Emanuele Celona, fratello di Angelo.
“Mentre ero libero – ha ammesso lo stesso Terlati – appresi personalmente da Emanuele Cassarà che a Niscemi suo cugino Emanuele Trainito, Angelo Celona, Francesco La Cognata ed altri ragazzi che al momento non ricordo, avevano portato a termine un’azione delittuosa all’interno di un bar ove era rimasto ucciso una persona e rimasta ferita un’altra”.
Dagli atti d’indagine, inoltre, emergono importanti particolari anche sullo scontro, tutto interno, che esplose tra le famiglie mafiose dei Rinzivillo e degli Emmanuello di Gela: sfociato nell’omicidio di Maurizio Morreale, crivellato di colpi nel dicembre del 1995 perché inviso agli Emmanuello, e nella strage della sala da barba del luglio di quattordici anni fa, alla quale partecipò il killer niscemese Vincenzo Pisano. Luigi Celona, fratello di Angelo ed Emanuele, ha descritto i tre tentativi, andati a vuoto, per far fuori il rivale Giuseppe Nicastro: ucciso solo alla quarta occasione.
“Un primo tentativo – ha ammesso lo stesso Celona – fu quello di piazza Salandra in cui ha perso la vita Grazia Scimè”. Altro cadavere fu quello di Crocifisso Portelli, ucciso perché aveva iniziato una storia d’amore clandestina con la sorella del boss Rosario Trubia, a sua volta già legata ad Angelo Celona.
“Per quanto riguarda l’omicidio di Crocifisso Portelli – ha aggiunto Luigi Celona – il movente è stato la fuga d’amore che questa persona aveva fatto con la sorella di Rosario Trubia. Questa sorella all’epoca era fidanzata con mio fratello Angelo e per tale motivo si decise di punire il Portelli che tra le altre cose era anche persona sposata”.
Ad agire sarebbe stato proprio Angelo Celona: il cadavere di Crocifisso Portelli venne poi seppellito in una zona rurale.

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