Inchiesta su maresciallo Primo, dopo condanna fissato appello: caduta accusa di mafia

 
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Gela. L’accusa più pesante, quella di concorso esterno in associazione mafiosa, è caduta lo scorso giugno, a conclusione del procedimento di primo grado. Il maresciallo dei carabinieri Giovanni Primo è stato condannato a quattro anni e sei mesi di reclusione, ma non ebbe rapporti con il clan di Peppe Alferi. Così, ha deciso il collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore. Tra poche settimane, si apre il giudizio di secondo grado, dopo che la difesa del militare, sostenuta dall’avvocato Flavio Sinatra, ha impugnato la sentenza. E’ caduta la contestazione di concorso esterno, ma il maresciallo è stato comunque giudicato colpevole dei reati di corruzione, concussione e falsa testimonianza. Condanna, ad un anno e quattro mesi, pronunciata anche nei riguardi dell’esercente Giuseppe Catania, che secondo i magistrati venne favorito dalla falsa testimonianza del militare, resa in un procedimento attivato da un ex dipendente. In primo grado, al termine della requisitoria, il pm della Dda di Caltanissetta Matteo Campagnaro aveva chiesto la condanna a dieci anni e cinque mesi di detenzione per Primo, ritenendo sussistenti le prove anche per il concorso esterno. Erano decine i capi di imputazione contestati al carabiniere, che per anni è stato in servizio in città, fino all’arresto eseguito dai suoi stessi colleghi. Secondo le accuse, avrebbe ricamato una fitta trama di rapporti di comodo, a tutela di imprenditori ed esercenti a lui vicini, sfruttando, in base all’esito delle indagini, i presunti rapporti con gli Alfieri, invece esclusi dai giudici. Il legale che lo rappresenta, l’avvocato Flavio Sinatra, ha depositato il ricorso, con l’obiettivo di rivedere del tutto la sua posizione processuale, cercando di arrivare all’eventuale assoluzione. Il legale ha sempre sostenuto la regolarità della condotta del carabiniere, che in città ha anche diretto il nucleo operativo. Secondo questa linea, non ci sarebbero mai state condotte contrarie ai doveri della divisa. Cosa che bisognerà dimostrare in appello. Il ricorso contro la condanna è stato presentato anche dalla difesa di Catania, sostenuta dall’avvocato Maurizio Cannizzo. L’esercente ha sostenuto di essere estraneo a quanto gli viene addebitato. Per il carabiniere, alcuni capi di imputazione sono andati incontro alla prescrizione. Altri tre militari, ai quali non veniva contestato il concorso esterno in associazione mafiosa, hanno ottenuto una piena assoluzione. “Il fatto non sussiste” per Salvatore Gurrieri (difeso dall’avvocato Giuseppe Di Stefano), Ernesto Licata D’Andrea (rappresentato dai legali Camelo Tuccio e Francesco Cottone) e Marco Sassone (con l’avvocato Flavio Sinatra). I tre vennero arrestati, perché ritenuti inseriti nel presunto sistema strutturato da Primo. Hanno sempre negato qualsiasi illecito. Le difese, nel corso del dibattimento e durante la discussione finale, hanno parlato di militari pronti a rispettare i doveri della loro appartenenza all’Arma. La stessa decisione è arrivata per Angelo D’Andrea e Giacomo D’Andrea (rappresentati dall’avvocato Flavio Sinatra), Roberto Motta, Daniele Russello, Rocco Di Caro e Andrea Alessi. Erano, a vario titolo, accusati di aver ottenuto favori da Primo o di aver dato seguito a sue richieste.

Sono stati difesi dagli avvocati Nicoletta Cauchi, Angelo Licata, Fabrizio Ferrara, Antonio Gagliano e Rudi Maira. Primo e Catania sono stati condannati a risarcire i danni alle parti civili. L’esercente nei confronti di una ex dipendente, rappresentata dall’avvocato Davide Limoncello, a danno della quale sarebbe stata prestata una falsa testimonianza, penalizzandola in una vertenza lavorativa che aveva avviato. Primo, invece, rispetto al Ministero dell’interno, parte civile con l’Avvocatura dello Stato (rappresentata dall’avvocato Giuseppe Laspina). Spetterà ai giudici della Corte d’appello di Caltanissetta vagliare i ricorsi del maresciallo e dell’esercente.

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