La conquista del sud: “Non credo nell’unità d’Italia e la ritengo una smodata corbelleria”

 
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Nella foto: una sezione della copertina di Aianello.

Gela. Ancora sui soprusi imposti al popolo duo siciliano, dal governo piemontese. La sera del 15 marzo 1863, il comandante della piazza di Licata, maggiore Frigerio, impone ai genitori dei renitenti alla leva obbligatoria di presentarsi entro poche ore al comando di polizia, pena la chiusura dell’acqua potabile alla città di ventiduemila abitanti. Si impone altresì ai cittadini di non uscire di casa, pena la fucilazione. Intanto vengono chiusi in carcere, le madri, le sorelle e i parenti più stretti dei contumaci e si minacciano anche pene più severe. Una donna incinta viene fatta morire e i giovanotti, uccisi a colpi di frusta e baionette. Il deputato siciliano L’Ondes Reggio, fa presente nella Cronaca nazionale questi fatti che vengono estesi a Trapani, Girgenti, Sciacca, Favara, Bagheria, Marsala, Calatafimi e altri comuni. Questa lunga iliade terminava con due catastrofi: una a Petralia dove una capanna abitata da tre persone padre, figlio e figlia fu lasciata bruciare con le persone dentro dai piemontesi che erano andati per chiedere informazione; l’altra catastrofe accadde al povero sordomuto Cappello di Palermo ricoverato in ospedale con 154 ferite con un ferro caldo. La madre finalmente ha potuto raggiungerlo per asciugare le sue ferite e ristorarlo con un po’ di pane, visto che l’avevano tenuto a digiuno.

Tanti altri crimini vengono coperti dai piemontesi con una naturalezza spaventosa, senza tenere conto delle esigenze naturali degli uomini. Infatti tutti gli uomini o donne che lottavano per liberare il proprio paese, erano stati definiti briganti e trattati come normali ladri e assassini, senza considerare che I briganti erano uomini figli di Dio e perciò degni del massimo rispetto. Questi gli uomini che sono venuti a liberarci e a guidarci per quasi 200 anni imponendoci una colonizzazione mai chiarita da nessuno degli storici prezzolati e venduti al vile denaro. Così con questa naturalezza vengono cancellati 126 anni di storia Borbonica senza se e senza ma perché ancora oggi ci vergogniamo dei misfatti commessi dai Tosco-Padani nel tentativo di unificare l’Italia ancora oggi sempre più disunita, tanto che i nostri uomini di cultura, ci propongono di istituire la vecchia scala mobile per pagare i nordisti, poveri lavoratori, più degli uomini del sud perché la vita al nord è più cara. Tanti altri crimini sono stati commessi dai piemontesi per liberare il sud dalla dura dominazione Borbonica e ancora oggi ci vergogniamo di elencarli perché lo scopo raggiunto dai piemontesi era un fine nobile, sognato da tutti gli uomini del risorgimento, quello dell’unificazione dell’Italia (mai unificata veramente). Il deputato Laporta, mette a conoscenza dei responsabili piemontesi dell’uccisione di 68 carabinieri in Sicilia, negli ultimi due anni senza nessun risultato. Il capitano pretende dai comandanti superiori l’impunità del soldato Sansone che aveva ucciso l’innocente Giuseppe Fantazzo di Castellamare, scusandosi perché voleva uccidere un altro uomo. Il piemontese Sarpi fa assolvere dall’accusa di omicidio di Vito Bonmarito da Favacotta e impone alla figlia di sposare un giovane nemico della famiglia di Palazzolo. La ragazza rifiuta l’offerta e viene chiusa nel ritiro di Santa Maria della Regione. L’unico vantaggio ottenuto dal governo di Torino, dice Crispi, è quello di avere riempito le carceri di disgraziati. Il deputato Bixio dice: “avere veduto cadaveri arrostiti e mangiati cuori strappati ecc. ecc. e apertamente confessa che la Sicilia sarebbe rimasta pacifica sotto i Borboni se la rivoluzione non fosse stata portata ivi dalle altre province d’Italia ossia dal Piemonte”. Anche Luigi Settembrini asserisce che “l’istruzione elementare nel regno delle due Sicilie non dovrebbe essere riformata ma doveva essere creata perché non c’è affatto”. “Il Diritto” di Torino conclude: “aveva ragione re Francesco II, se definiva i piemontesi come tiranni e usurpatori del suo reame!” Vari deputati delle province meridionali di allora rinunziarono di fare parte della Camera di Torino. Sono tali e tante le cronache che si riportano con il titolo “Il governo subalpino delle due Sicilie al cospetto dei parlamentari Europei”. In Francia, Inghilterra e Spagna eminenti oratori hanno sostenuto il diritto delle due Sicilie inspirato all’antica sentenza: “che il forte, il quale difende il debole oppresso, è il giusto per eccellenza.” I discorsi dei deputati Lord Enrico Lennox, Cavendish-Bendik, Sir G. Bowier, M. Cochrane e N. Mac Guire. Il discorso di quest’ultimo è molto importante: “Limitarsi cioè ad impegnare il governo Inglese nel nome della comune umanità, perché s’interponga a prevenire la continuazione delle atrocità che si commettono nelle Due Sicilie nelle quali il medesimo governo è in gran parte responsabile, per avere con il peso fatta traboccare la bilancia a pro del Piemonte, e a danno del giovane re Francesco II, lasciandolo fra le mani dei traditori” e conclude; ”per me io non credo nell’unità d’Italia e la ritengo una smodata corbelleria.” Vittorio Emanuele II era intimo amico del Papa e nello stesso tempo amico di Francesco I pertanto non può esserci storia più iniqua di quella che i piemontesi operarono nell’occupazione dell’Italia meridionale, gli ambasciatori dell’uno e dell’altre erano nelle rispettive corti. Lo scopo di Vittorio Emanuele II era quello di prevenire qualsiasi rivolta e nella speranza di ciò, invase i territori del re Borbone e se ne impadronì con la forza delle armi, dopo averne minato con una sistematica rete d’infernale perfidie, viene subito imbavagliata la stampa, schiacciata la nazionalità, l’unione, diventa uno scherno, una impostura, una burla. “E perciò il caso di poter sollevare il velo che copre tante atrocità commesse nel nome della libertà, sotto un re costituzionale, e che sarebbero odiose anche sotto il peggiore degli immaginabili dispotismi…”Italia, Italia! Dove sono devastati i campi, incenerite città, fucilati a centinaia i difensori della loro indipendenza”

(deputato Noce dal 1863).

1 commento

  1. Giusto a titolo informativo, nessun deputato di cognome “Noce” faceva parte della Camera dei Deputati durante la legislatura dal 18-2-1861 al 7-9-1865. Suggerisco a Luigi Maganuco di riprodurre le pagine dei libri che copia, anziché trascriverle. Almeno non sfoggerà i soliti errori di grammatica e non si assumerà la paternità dei falsi commessi dagli autori di quei testi. Buon anno.

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