Le morti di ex operai, periti Eni in aula: messo in dubbio il nesso malattie-sostanze pericolose

 
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L'area della raffineria Eni di contrada Piana del Signore

Gela. Un lungo esame quello dei tre specialisti citati dai legali di difesa dei manager Eni nel dibattimento che si tiene nei confronti di vertici e operatori dell’azienda, ma anche di responsabili di diverse società dell’indotto. Sono accusati di non aver adottato le necessarie misure per evitare l’esposizione ad amianto e ad altre sostanze pericolose di tanti lavoratori della fabbrica. Tra le contestazioni, ci sono anche quelle legate alla morte di due ex lavoratori dello stabilimento della multinazionale. I periti, citando studi scientifici in materia di mesoteliomi e patologie da asbesto, hanno però messo in dubbio il collegamento tra le malattie contratte dai lavoratori e l’esposizione a possibili sostanze pericolose e alle fibre d’amianto. Una lunga serie di riferimenti scientifici è stata analizzata dal collegio peritale davanti al giudice Miriam D’Amore. Dubbi che sono stati sollevati anche sulla riconducibilità dei mesoteliomi fatali per due ex lavoratori, i cui familiari sono costituiti parti civili. I consulenti di parte hanno illustrato le loro conclusioni utilizzando immagini proiettate in aula. Una ricostruzione che però non convince i legali dei lavoratori malati e dei familiari delle vittime. Parti civili nel procedimento sono l’Osservatorio Nazionale amianto e l’associazione Aria Nuova, con gli avvocati Maurizio Cannizzo, Lucio Greco, Davide Ancona ed Ezio Bonanni, oltre ai lavoratori oggi malati e ai familiari di quelli morti, in giudizio con gli avvocati Vittorio Giardino, Paolo Testa, Concetta Di Stefano e Antonio Impellizzeri e Laura Caci. Responsabili civili, in giudizio, sia Raffineria di Gela sia Syndial. I legali dei manager Eni hanno sempre confermato il rispetto delle norme in materia di tutela dei lavoratori impiegati nel sito di contrada Piana del Signore. I pm della procura, in aula con il sostituto Mario Calabrese, sono invece convinti che nel tempo siano state violati i protocolli di sicurezza, con gravi conseguenze per gli operai impegnati tra gli impianti della raffineria.

Il dibattimento ha avuto inizio dopo una lunga indagine scattata dagli approfondimenti sulle cause della morte di alcuni ex operai che per anni sono stati in servizio nel sito del cane a sei zampe. Le accuse vengono mosse contro Angelo Tuccio, Salvatore Di Guardo, Gioacchino Gabbuti, Francesco Fochi, Antonio Borgia, Pier Giorgio Covilli, Giancarlo Picotti, Cesare Riccio, Antonio Catanzariti, Gregorio Mirone, Giancarlo Fastame, Giorgio Clarizia, Ferdinando Lo Vullo, Giuseppe Genitori D’Arrigo, Francesco Cangialosi, Luciano Di Buò, Salvatore Maranci, Vito Milano, Orazio Sorrenti, Vincenzo Piro, Aurelio Faraci, Giuseppe Di Stefano, Giuseppe Lisciandra, Salvatore Di Dio, Andrea Frediani, Giacomo Rispoli, Giuseppe Ricci, Battista Grosso, Arturo Borntraeger, Giovanni Calatabiano, Giuseppe Farina, Salvatore Vitale, Antonio Fazio, Giovanni La Ferla e Renato Monelli.

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