“Ucciso per una vendetta”, depositate motivazioni: appello bis per l’omicidio Mendola

 
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Il cadavere fu ritrovato nei boschi di Pombia

Torino. Per il trentaduenne Antonio Lembo, reo confesso dell’omicidio del trentatreenne gelese Matteo Mendola, sarà necessario un nuovo giudizio, davanti ai magistrati della Corte d’assise d’appello di Torino, che avevano confermato la sua condanna a trenta anni di detenzione. Dovranno valutare il riconoscimento delle attenuanti generiche, che potrebbero incidere sull’entità finale della pena. Lo scorso aprile, lo hanno deciso i giudici della Corte di Cassazione, accogliendo l’unico motivo di ricorso avanzato dal suo legale, l’avvocato Gabriele Pipicelli. Sono state depositate le motivazioni, in attesa della fissazione del nuovo giudizio di secondo grado. Lembo ha ammesso di aver attirato Mendola in un tranello, nei boschi di Pombia, in provincia di Novara. Il gelese venne poi ucciso, nell’aprile di quattro anni fa, a colpi di pistola e finito con il cranio fracassato. La condanna invece è diventata definitiva per l’altro coinvolto, Angelo Mancino. Nelle motivazioni pubblicate dai giudici romani, si fa riferimento ad un piano organizzato per punire uno sgarro di Mendola, forse per una partita di droga. Lembo, uccidendolo, avrebbe ottenuto una somma di denaro, ma anche la cancellazione di un debito che il fratello pare avesse maturato nei confronti dell’imprenditore edile Giuseppe Cauchi. Il cinquantaquattrenne gelese, a sua volta coinvolto nell’inchiesta, è stato assolto in primo grado, dall’assise di Novara. La procura ha impugnato, in attesa del giudizio di appello. L’imprenditore è difeso dagli avvocati Flavio Sinatra e Cosimo Palumbo e si è sempre detto estraneo ai fatti. Fu Lembo a tirarlo in ballo come mandante e secondo la sua prima ricostruzione, Cauchi gli avrebbe fornito la pistola per uccidere Mendola.

Poi, ritrattò, durante il confronto davanti ai giudici. Nelle motivazioni depositate dai magistrati di Cassazione, si conferma il pieno coinvolgimento di Lembo e Mancino, ma l’appello bis per il reo confesso si è reso necessario proprio per valutare la concessione delle attenuanti generiche. La famiglia di Mendola, in tutti i gradi di giudizio, così come capitato anche nel procedimento che tocca Cauchi, si è sempre costituita parte civile. In primo grado, i due killer vennero giudicati con il rito abbreviato.

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