Armi, intimidazioni e un tentato omicidio, dal gup i coinvolti nel blitz “Revenge”

 
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Gela. Le difese degli otto coinvolti nell’inchiesta “Revenge” potrebbero decidere di non affidarsi a riti alternativi. Per la procura, tutti gli imputati vanno rinviati a giudizio. Il gup Roberto Riggio valuterà a fine mese. Questa mattina, infatti, è stato deciso di attendere, anche per l’eventuale formulazione di richieste da parte dei legali. Le accuse vengono mosse a Rosario Trubia, Giuseppe Trubia, Vincenzo Trubia, Antonino Raitano, Ruben Raitano, Giacomo Tumminelli, Marco Ferrigno e Giovanni Simone Alario. Tutto sarebbe iniziato, in base a quanto riscontrato dagli inquirenti, da alcuni furti. I Raitano e i Trubia si accusarono a vicenda, anche con minacce e ritorsioni, fino alle armi. Una pistola, nella disponibilità di Antonino Raitano e del fratello Ruben Raitano, spuntò durante un primo tentativo di chiarimento. Vincenzo Trubia e i figli Giuseppe Trubia e Rosario Trubia, cercarono di disarmare i rivali. Sarebbe partito un colpo, che raggiunse al piede il quarantasettenne Vincenzo Trubia. Nella concitazione, i Trubia sarebbero riusciti ad impossessarsi della semiautomatica e per gli investigatori sarebbe stato il ventitreenne Rosario Trubia a sparare contro Antonino Raitano. La pistola sarebbe poi stata nascosta nell’ovile della famiglia. I carabinieri, durante le indagini, con perquisizioni e controlli, riuscirono a ritrovare l’arma. I fratelli Raitano, pare spalleggiati da un altro coinvolto, il trentottenne Giacomo Tumminelli, non avrebbero fatto attendere la loro risposta. Sarebbero stati loro a sparare contro l’ovile dei Trubia, usando un fucile a canne mozze. Per i carabinieri e i pm, avrebbero avuto un’altra pistola, una semiautomatica Beretta.

Sono diversi i capi di imputazione addebitati ai coinvolti. L’accusa più grave, di tentato omicidio, è posta a carico di Rosario Trubia, che fece fuoco contro i fratelli Raitano, secondo gli inquirenti con la volontà di uccidere, anche se nel corso dell’inchiesta il giovane ha escluso di aver sparato per causare la morte dei rivali. Il trentaquattrenne Giovanni Simone Alario e il quarantanovenne Marco Ferrigno, invece, vennero intercettati durante colloqui con Antonino Raitano, in ospedale. Avrebbero cercato di recuperare la pistola che era stata sottratta dai Trubia. L’inchiesta fu lunga e molto complessa, mettendo insieme più vicende che portarono a ricostruire uno scontro in atto tra nuclei familiari rivali. Gli otto sono difesi dagli avvocati Davide Limoncello, Filippo Incarbone, Rosario Prudenti, Nicoletta Cauchi e Francesco Enia.

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