Chiese 1 milione e 700 mila perchè definito ex brigatista: “Non ci fu diffamazione”

 
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Il tribunale ha respinto la richiesta di maxi risarcimento di Calogero La Mantia

Gela. Non è stato diffamato né è stato leso il preteso diritto all’oblio. Calogero La Mantia e i suoi familiari avevano citato, davanti al giudice civile del tribunale Anna Maria Ciancio, una trentina tra testate giornalistiche, nazionali e locali, direttori e collaboratori. La presunta diffamazione lamentata, al punto da fargli chiedere un maxi risarcimento da 1 milione e 700 mila euro, traeva origine dal fatto che gli investigatori, nel corso di un’indagine che condusse al suo arresto, lo avevano identificato come ex appartenente alle Brigate Rosse. “Un ex brigatista”, come più volte indicato nell’ordinanza di custodia cautelare, ma anche in diverse relazioni redatte dagli investigatori. Particolare che venne riportato dalle testate giornalistiche di tutta Italia, comprese quelle locali. La Mantia venne poi assolto dalle accuse. Il giudice Ciancio, però, ha respinto la richiesta del maxi risarcimento, arrivando a definire l’azione proposta, “in mala fede” ed esercitata “con colpa grave”.

E’ emerso il corretto esercizio da parte dei convenuti del diritto di cronaca giudiziaria, con il rispetto dei limiti e dei presupposti come delineati dalla giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione (si confronti fra le tante, la sentenza della Corte di Cassazione civile del 4 ottobre 2011) – si legge nella sentenza – segnatamente, “tutta la documentazione mediatica versata in atti risulta rispettosa, nell’esposizione delle notizie oggetto di causa, dell’osservanza dei requisiti connaturati al corretto esercizio del diritto di cronaca giudiziaria ovvero: la pertinenza, ossia la rilevanza sociale della notizia (l’arresto di svariate persone nell’ambito di un’indagine avente ad oggetto ipotesi di reato di associazione a delinquere e di rapimento a scopo di estorsione è di pubblico interesse); la continenza ovvero la correttezza della forma espositiva (il fatto è riportato nei suoi elementi oggettivi così come appresi dalla fonte, senza l’adozione di alcun artificio che ecceda lo scopo informativo); e la verità dei fatti narrati (verificati come realmente accaduti al momento della pubblicazione della notizia)”.

Le testate citate erano il Corriere della Sera, La Repubblica Palermo, Il Sole 24ore, La Stampa, Giornale Di Sicilia, Corriere Di Gela, Tg10.it, Rai 3 Sicilia. Per il giudice, inoltre, non è stato leso neanche il presunto diritto all’oblio, richiesto da La Mantia. E’ stata accolta, quindi, la linea portata avanti dai legali delle testate e dei giornalisti chiamati a rispondere, rappresentati dagli avvocati Ignazio Raniolo, Giovanni Panebianco, Giuseppe Panebianco, Giacomo Di Fede, Francesco Spata, Giacomo Ventura, Maria Elena Ventura, Giuseppe Cammalleri, Sara Bonura e Liliana Bellardita.

La Mantia e i suoi familiari, inoltre, sono stati condannati a risarcire le spese processuali sostenute da tutte le parti citate (circa 15 mila euro a testata) e il giudice Ciancio ha disposto la revoca del gratuito patrocinio, ritenendo l’azione temeraria.

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