Ducati ai camorristi, le concessioni agli uomini del Risorgimento

 
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Nella foto: Parte della copertina del testo "Contro Garibaldi” di Gennaro De Crescenzo

Gela. Abbiamo avuto occasione di parlare de “l’eroe dei due monti”, Giuseppe Garibaldi, e di dimostrare attraverso il suo curriculum vitae, abbastanza pieno di scelleratezze tra cui il mestiere di trafficante di schiavi orientali che permisero al re di Savoia e al “compare” Cavour di essere nominato capo della “spedizione dei mille” per occupare il Regno delle due Sicilie.

A descrivere quel settembre del 1860 a Napoli, popolo indignato, con i Garibaldini atei e vandali, scellerati potentati, dove dominavano le rapine, i contrabbandi, l’erario dilapidato, dazi non percepiti, nessuna giustizia, nessuna sicurezza di vita e di roba, donne e camorristi a predare e uccidere, in pochi giorni i fallimenti sulla piazza di Napoli si moltiplicavano e si succedevano rapidamente. Questa l’atmosfera sognata e sussurrata da tempo che l’arrivo non contrastato di Garibaldi avrebbe portato a Napoli l’Eden. Quale meraviglia, invece, che in meno di due mesi si vide con terrore lo sciopero tra gli operai di Cava, dell’Arsenale, o di questo o quel ceto di artieri o dei cocchieri da nolo?

Appena sciolto l’esercito di 100.000 soldati, nessuno trovava sistemazione e Torino incominciava a fornire Napoli di tutto, dalle vesti alle calzature dei soldati. Si forniva la carta per le officine, le panche di legno per le pubbliche scuole, i bilancini per gli operai, le pietre per costruire gli orinatoi delle città e inizia la distribuzione incontrollata delle pensioni e doni vari.

La figlia adultera di Carlo Pisacane, ottiene sessanta ducati di pensione mensile, quattromila ducati ai figli di un uomo caduto negli scontri di Montemiletto, duemila ducati alle sorelle, e trenta ducati al mese alla moglie di Agesilao Milano che aveva tentato di uccidere Ferdinando II, diciotto ai parenti di un piccolo letterato, Gianbattista Aiello, dodici ducati al mese alla Sangiovannara e dodici a Carmela Faucitano, dodici a Carmela Pace e Pascarella Prota, parenti di camorristi e grande esempio di coraggio civile nei propugnatori della libertà. Lunga è la lista dei premi concessi agli uomini del risorgimento, ma noi vogliamo ricordarne alcuni e tra questi il fitto del piroscafo Cagliari, utilizzato dal Pisacane, nella fallimentare spedizione a Sapri, per il Piemonte e il Lombardo, utilizzati per trasportare a Marsala i “mille” grandi liberatori, 750.000 lire (oggi circa 3 milioni di euro).

Ma quello che intascarono Garibaldi e Francesco Crispi, oltre ai proventi e sussidi ricevuti per la santa causa della rivoluzione, pretesero dal tesoro siciliano di pagare milioni per armi, munizione, uniformi, cavalli e navi e oltre un milione e quattrocentomila ducati per estinguere cambiali all’estero senza darne conto, senza considerare i 5.000.000 in oro e argento preso alla zecca di Palermo. Il signor Bracci, direttore degli affari di Sicilia a Napoli, fece un accordo con Crispi di come spartire i 93.000 ducati in suo possesso, per lui voleva solo 3.000 ducati e il resto li restituiva a Crispi che in un mese era diventato riccone.

Aveva comperato un palazzo in via Maqueda a nome di suo cugino Maggio e Garibaldi tornò a Caprera portando con sé, a dire della storiografia ufficiale, solo un sacco di patate.

Del saccheggio di Garibaldi in Sicilia, ne parla un deputato torinese, il debito pubblico del Regno delle due Sicilie a tutto il 1859 ammontava a 5.084.912 e alla fine del 1860 era cresciuto di mezzo milione e un deputato siciliano parla di debito contratto con la casa Rhotschild da Francesco II che non era giunto a riscuotere le quote che furono introitate dal dittatore Garibaldi. Il deputato Saracco del parlamento Sabaudo affermava che il Banco di Napoli aveva prestato tremilionicinquecentomila a Francesco II per difendere il reame dall’invasione straniera, con il ministro Manna, divenuto ministro di Vittorio Emanuele II, si chiarisce che il prestito viene intercettato dal governo dittatoriale di Garibaldi.

Gli spropositi che Garibaldi commette a Napoli, sono di gran lunga superiori a quelli commessi in Sicilia e qui riprende la polemica scoppiata con Francesco Crispi, accusato di avere svuotato in due giorni le casse pubbliche e richiedeva atri 13.000 ducati per le spese pubbliche della dittatura.

Il La Farina, braccio destro di Cavour e garante del Nizzardo, rivela molte cose sulle leggerezze del governo in Sicilia e tra questi la legge della leva imprudentemente pubblicata e stoltamente redatta ha provocato in molti comuni sollevazioni di massa, la Sicilia è rimasta in mano ad una banda di vandali. Lo sperpero di denaro, in quel periodo non trova giustificazione, furono distribuiti all’armata di Garibaldi che non arrivava a ventimila unità, sessantamila cappotti e un numero proporzionato di coperte eppure la maggior parte dei garibaldini, non ha né cappotti né coperte, però in un solo mese si pagarono dalla tesoreria spese non giustificate per 750.000 ducati.

Altre spese non giustificate, riguardano la concessione degli appalti della ferrovia al “Signore Adami e lemmi di Livorno” con un decreto pubblicato il 15 ottobre ma retrodatato al 15 settembre e senza la minima preoccupazione di una gara pubblica, almeno nella forma viene concesso l’appalto di 650.000.000 lire pubblicato sul giornale “Il cittadino” e il carrozzino intascato da Crispi e da Bertni, uomini molto vicini a Garibaldi.

Queste elargizioni fatte agli amici e quelli fatti alla massoneria, furono ancora più consistenti, Adriano Lemmi, maestro della massoneria italiana, diventa un potentissimo Gran Maestro, si ricorda soltanto che con i Borboni sulle opere pubbliche non si potevano fare utili. Durante la dittatura di Garibaldi a Palermo e Napoli, furono spesi per l’amministrazione pubblica 150 milioni di franchi francesi, svuotando completamente le casse. La dittatura di Garibaldi a Napoli, durò circa sessantadue giorni e una lire del 1861 corrisponderebbe a circa 7.664 lire attuali questo per spiegare il denaro dilapidato nel meridione dall’eroe dei due mondi Garibaldi (uomo onesto e generoso). Dalla storiografia ufficiale ci viene presentata la sua frugalità, ma non ci viene detto che era proprietario di una intera isola, di diverse imbarcazioni di svariate misure, che la sua immensa famiglia assorbiva molte spese che non aveva nemmeno la minima capacità di amministrazione. Comincia a prendere i primi contributi dallo stato Sabaudo prima di partire per gli Stati Uniti, accetta soldi da Vittorio Emanuele II che gli consentirono di costruire una nuova casa a Caprera, subito dopo l’unificazione con una trentina di dipendenti, 500 capi di bestiame, orti, stalle, magazzini, macchine a vapore, mulini, giardini e vere e proprie strade e i suoi ammiratori, non meglio identificati, regalarono l’altra parte dell’isola. Nello stesso periodo, acquista un veliero di 42 tonnellate, battezzandolo “Emma”, nome della sua amica Inglese.

Nel 1874 governo e amici seppero delle sue difficoltà economiche e organizzarono un “dono nazionale” con una pensione di 100.000 lire annui e poteva disporre di 277 lire al giorno. Gli fu assegnata una rendita annua di 50.000 al 5% e una pensione vitalizia di 50.000 lire dal governo. Sempre nel 1874, Garibaldi garantisce a suo figlio Menotto, un prestito di 200.000 lire fornito dal Banco di Napoli, in data 2 settembre 1874, nel 1883 il potere politico regala alla famiglia Garibaldi l’intera somma insoluta, dovuta al Banco di Napoli, estinguendo definitivamente il debito. Con questa descrizione, sbiadisce il suo ritiro a Caprera con qualche centinaio di lire, messe da parte dai suoi amici a sua insaputa, alcuni pacchi di caffè e di zucchero, un sacco di legumi e un balla di merluzzo secco.

(Fonte: “Contro Garibaldi” di Gennaro De Crescenzo)

1 commento

  1. Giusto perchè i lettori intendano il livello di queste “rivelazioni”, ricordo soltanto che “la figlia adultera di Carlo Pisacane” – per ripetere le parole del testo – era nata nel 1853, dunque nel 1860 aveva sette anni.

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