Ex operaio Smim malato per i fumi di saldatura, fissato appello: condanne in primo grado

 
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Gela. Alla Smim, per anni, non sarebbero state adottate le necessarie misure di precauzione, destinate ad impedire l’inalazione dei pericolosi fumi di saldatura. Lo scorso giugno sono arrivate condanne per il proprietario della società ligure, Giancarlo Barbieri (sei mesi di reclusione), e per ex tecnici e responsabili della sicurezza. Quattro mesi ciascuno a Luigi Pellegrino, Giovanni Giorgianni e Giovanni Corbino. Ora, scatta il giudizio d’appello. Un ex operaio dell’azienda è malato, con gravi ripercussioni sul sistema respiratorio. Ad Antonio Di Fede, parte civile nel giudizio, assistito dall’avvocato Giacomo Di Fede, è stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni. Fu proprio l’ex dipendente a rivolgersi alla magistratura, dopo aver scoperto la malattia. Con la chiusura delle indagini, scelse di costituirsi parte civile e ha seguito l’intero procedimento. Per anni, avrebbe inalato i fumi, anche durante l’attività svolta tra gli impianti della raffineria Eni. Nel corso dell’istruttoria dibattimentale, sono emersi aspetti che hanno poi condotto il giudice Marica Marino ad emettere una sentenza di condanna. Ai lavoratori, anche se le difese degli imputati hanno sempre sostenuto l’assoluto rispetto delle norme in materia di sicurezza, non sarebbero stati garantiti i necessari sistemi di precauzione. A fine gennaio, il caso verrà affrontato dai giudici della Corte d’appello di Caltanissetta. E’ stato fissato il procedimento di secondo grado, dopo che i legali di difesa, gli avvocati Flavio Sinatra, Davide Limoncello, Vincenzo Cilia e Salvatore La Grua, hanno depositato i relativi ricorsi. Chiederanno di rivedere la pronuncia di primo grado. Hanno messo in dubbio l’esistenza di possibili responsabilità penali, non solo nei confronti della proprietà ma anche degli addetti alla sicurezza. Sono stati prodotti dati tecnici a sostegno delle loro tesi, fino a contestare le conclusioni di una perizia disposta dai pm della procura.

Antonio Di Fede e altri ex colleghi di lavoro, nel corso dell’istruttoria, hanno invece spiegato di aver avuto a disposizione, per un lungo lasso di tempo, solo semplici mascherine, che potevano fare poco contro i fumi, costantemente presenti nei luoghi di lavoro. Il legale dell’operaio ha descritto ambienti fortemente a rischio, senza le necessarie tutele a garanzia della salute.

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