Imponevano il pizzo sui rifiuti, condanne modificate nel processo d’appello

 
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Gela.«Non erano collusi con Stidda e Cosa nostra». È quanto ha sentenziato la seconda sezione della Corte d’Appello di Caltanissetta che ha condannato a complessivi 134 anni di carcere (per alcuni imputati la condanna è in continuazione con altre) dieci estorsori accusati di avere imposto il pizzo per dieci anni

, dal 1996 al 2006 agli imprenditori che per conto del Comune gestirono il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solido urbani. La sentenza in appello è stata riformata parzialmente. La Corte presieduta dal giudice Michele Perriera (a latere Gabriella Canto e Miriam D’Amore) ha in parte accolto le richieste del Pg Antonino Patti. È rimasta in piedi quindi la tesi accusatoria secondo la quale Stidda e Cosa nostra avrebbero estorto denaro alle imprese costituite in Ati. La Corte ha condannato gli imputati al risarcimento dei danni alle parti civili, agli otto imprenditori (ieri presenti in aula) che decisero di ribellarsi al pizzo, a Confindustria, Comune di Gela, Fai ed associazione antiracket «Giordano». Ecco le condanne nel dettaglio: ad Enrico Maganuco sono stati inflitti 6 anni di carcere ma ne dovrà scontare 24 in continuazione con altre condanne; Carmelo Fiorisi è stato condannato a 9 anni con uno sconto di tre anni ma in continuazione con altre sentenze dovrà scontare 27 anni; Morteo è stato condannato a 6 anni che diventano 21 anni e mezzo in continuazione; 5 anni in continuazione per Gaetano Azzolina; 4 anni sono stati inflitti a Domenico Vullo che diventano 18 anni e 4 mesi in continuazione; Condannati anche cinque collaboratori di giustizia: 11 anni a Massimo Carmelo Billizzi; 10 anni a Paolo Portelli; 8 anni e 3 mesi a Gianluca Gammino; 5 anni e 4 mesi a Marcello Orazio Sultano e 4 anni e 2 mesi a Rosario Trubia. La Corte non ha riconosciuto ai collaboratori solo le attenuanti generiche.

I dieci esattori del racket vennero arrestati nel 2007 nell’ambito dell’operazione «Munda Mundis». Il collegio difensivo – secondo le dichiarazioni dei collaboratori – ha sempre sostenuto che fra gli imprenditori e le cosche era stato siglato un accordo per truccare le gare, farli aggiudicare alle imprese colluse e poi spartirsi il denaro. Tesi che è crollata. 

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