Incendio alla radice pontile Eni, periti in aula: nella stessa area morì Romano

 
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Gela. Il sospetto è che quell’area di cantiere non fosse adeguata ai parametri di sicurezza. Nell’ottobre di sette anni fa, le fiamme si alzarono nei pressi della radice pontile della fabbrica Eni, dove un mese dopo perse la vita l’operaio trentenne Francesco Romano. Su quell’incendio i pm della procura hanno avviato un’indagine e a processo è finito l’rto dell’azienda Giuseppe Migliore. Difeso dall’avvocato Alessandra Geraci, è chiamato a rispondere alle accuse. Stando ai pm, ci sarebbero stati dei presunti errori nelle procedure. In quel periodo, erano in corso i lavori sulla linea p2. Davanti al giudice Miriam D’Amore, sono stati ascoltati i periti incaricati di valutare lo stato dell’area e individuare le possibili cause dell’incendio, che comunque venne prontamente bloccato senza provocare danni ad alcuni operai della Cosmi Sud presenti nel cantiere, compreso lo stesso Romano. I due tecnici non escludono che l’incendio sia stato alimentato dalla fuoriuscita di una nube di metanolo che si sarebbe stratificata proprio nello spazio tra il cantiere dove operavano i dipendenti di Cosmi Sud e le tubazioni vicine.

“C’erano materiale infiammabile nei pressi delle tubazioni e diversi possibili inneschi sia nel cantiere di lavoro sia negli impianti elettrici di Eni”, hanno spiegato. Una presunta carenza di misure di prevenzione avrebbe favorito l’incendio. Già nei giorni precedenti, almeno in base a quanto emerso dalla perizia, sarebbero apparsi segni di vampate di calore nei teli usati per il cantiere.

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