L’amianto in fabbrica e la morte di un operaio, aperto il dibattimento: parlano ex lavoratori

 
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Gela. Poche, pochissime informazioni sulla pericolosità dell’amianto e misure di precauzione quasi del tutto assenti. E’ uno spaccato di quanto sarebbe accaduto nella fabbrica Eni di contrada Piana del Signore. A descriverlo, per l’ennesima volta, sono stati ex lavoratori di aziende dell’indotto, ma anche un dipendente della multinazionale. Davanti al giudice Miriam D’Amore, si è aperto il dibattimento contro ex manager di raffineria e responsabili di società dell’indotto. Tra le accuse, c’è quella di omicidio colposo, scattata per la morte dell’operaio Domenico Biondo, colpito da una gravissima patologia. A processo, sono finiti Giovanni Catalano, Salvatore Ruvio, Salvatore Ferlenda, Antonio Catanzariti, Pasqualino Grandizio, Gregorio Mirone, Giancarlo Fastame, Giorgio Clarizia, Ferdinando Lo Vullo, Giuseppe Genitori D’Arrigo, Francesco Cangialosi, Renato Morelli, Mario Saetti, Arturo Borntraeger, Giorgio Daumiller, Giovanni Caltabiano, Giuseppe Farina, Vito Milano, Salvatore Vitale, Luciano Di Buò, Salvatore Marangi, Antonio Fazio, Umberto Vanini, Giuseppe Di Stefano e Giuseppe Lisciandra. Parti civili, invece, sono lavoratori, aderenti alla sezione locale dell’Osservatorio nazionale amianto, rappresentati dagli avvocati Davide Ancona e Lucio Greco.

In apertura, il giudice D’Amore ha autorizzato l’ammissione di una sentenza, già emessa in sede civile, relativa alla morte di un ex operaio dell’indotto e prodotta da uno dei difensori, l’avvocato Giovanna Cassarà. Nel corso dell’esame di quattro ex operai, il pm Pamela Cellura e le parti in giudizio hanno cercato di far emergere le condizioni dei luoghi di lavoro, finiti al centro di una vasta indagine. “Usavamo mascherine ordinarie – ha detto uno dei testimoni – non c’era altro. Non sapevamo nulla della pericolosità dell’amianto”. Nel corso dell’udienza, ci sono stati diversi riferimenti al ruolo svolto da alcuni ex vertici di cooperative dell’indotto, spesso lavoratori come gli stessi dipendenti. Un particolare emerso durante l’esame. “Gli interventi da effettuare – ha spiegato uno dei lavoratori – venivano programmati da Eni e poi noi li effettuavamo, in base al tipo di appalto ricevuto”. In passato, come ha spiegato un testimone, l’eventuale presenza di sostanze pericolose tra gli impianti veniva verificata attraverso la presenza di cardellini in gabbia. “Quando morivano – ha detto un ex dipendente – allora, sapevamo che c’erano sostanze pericolose rilasciate dagli impianti”. In aula, verranno sentiti altri lavoratori. L’esame è previsto nel corso delle successive udienze. Gli imputati sono difesi, tra gli altri, dagli avvocati Giacomo Ventura, Giovanna Cassarà, Angelo Urrico, Gualtiero Cataldo, Alessandra Geraci, Carlo Autru Ryolo, Attilio Floresta, Piero Ciarcià.

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