Lira siciliana per non dipendere economicamente e politicamente dal governo italiano

 
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La copertina del testo "Risorgimento o Rivolgimento?" di Aurelio Vento

Gela. Questa parte della rubrica è dedicata allo scrittore meridionalista Aurelio Vento, autore tra l’altro del testo “Risorgimento o Rivolgimento?
Nasce a Milazzo nel 1948, quarto figlio di un ferroviere. Si forma e studia a Palermo. Ma lavora e vive tutt’ora a Catania con la sua famiglia.
Io, personalmente, ho molto apprezzato il testo da lui scritto, per la scioltezza del linguaggio e per i contenuti storici molto ricercati, attraverso un lavoro di ricerca di documenti secretati dai Tosco Padani fin dal 1860. Il lavoro di questi uomini che hanno una dignità storica da difendere, sono molto apprezzati da tutti i meridionali onesti, dai liberi pensatori e seminatori di idee e provocazioni che non hanno niente da nascondere. Vive ama studia, scrive senza condizionamenti.
Mi preme specificare a un nostro lettore che i morti ottenuti dai Piemontesi a Pontelandolfo e a Casalduni non furono 14, come sostenuto dal lettore, ma secondo un autentico antiborbonico quale Giordano Bruno Guerri nel testo “Il sangue del sud”, furono 164, citati dal giornale filogovernativo il “Popolo d’Italia”, ma secondo i meridionalisti veri quasi 1.000.
Invito il lettore, non di leggere i soli testi di Spadolini sulla questione meridionale, iniziando a prendere in considerazione Bruno Guerri, anche se antimeridionalista convinto, narra i fatti storici con una certa credibilità e se si soffermasse a leggere pag.148 e 149 del testo citato, apprenderebbe come venivano stuprate le bambine di 16 anni davanti i genitori legati e poi uccise come tutti quelli che scappavano vivi da quell’inferno, venivano massacrati senza pietà dai Piemontesi. Tutto questo grazie al Gen. Cialdini, a Maurizio de Sonnaz, al Maggiore Melegari, al col. Negri coadiuvato dal Garibaldino De Marco e governati da Cavour, da Garibaldi e dal re Vittorio Emanuele II, re galantuomo, secondo la storiografia ufficiale( per citarne alcuni). Il rapporto di 1 a 10 (1 tedesco contro 10 civili Italiani viene fatto da Bruno Guerri), con suo grande stupore, perchè i tedeschi cattivi non distrussero via Rasella a Roma come i Piemontesi a Pontelandolfo.

L’ASSASSINIO DEL FANCIULLO l’ART. 40
Fonte rimaneggiata da: meridiosiculo.altyervista

L’Art. 40 dello Statuto siciliano recita testualmente:
– Le disposizioni generali sul controllo valutario emanate dallo Stato hanno vigore anche nella Regione. E’ però istituita presso il Banco di Sicilia, finché permane il regime vincolistico sulle valute, una Camera di compensazione allo scopo di destinare ai bisogni della Regione le valute estere provenienti dalle esportazioni siciliane, dalle rimesse degli emigranti, dal turismo e dal ricavo dei noli di navi iscritte nei compartimenti siciliani.-
Il primo comma, in pratica, disponeva per la Sicilia l’uso di una moneta uguale a quella italiana (allora la lira).
Il secondo comma prevedeva, invece, l’istituzione, presso il Banco di Sicilia, di una Camera di compensazione, una specie di ufficio cambi, che doveva occuparsi di destinare ai bisogni della Regione Siciliana le valute estere provenienti dalle esportazioni siciliane, generatrici sempre di notevoli surplus commerciali, dalle rimesse degli emigranti che a fiumi o inondato le banche italiane in Sicilia e attraverso di esse il sistema industriale padano, dal turismo che ha lasciato e lascia nella nostra Isola enormi quantità di denaro e dal ricavo dei noli di navi iscritte nei compartimenti siciliani che per la mole di traffico marittimo dei nostri porti ha sempre raggiunto somme considerevoli.
E poiché per le valute straniere possedute dai siciliani doveva essere corrisposto un importo di pari valore in moneta locale, la norma in questione dava implicitamente al Banco di Sicilia la potestà di emettere le lire necessarie a pagarne il relativo cambio. Lire siciliane che pur avendo la stessa denominazione di quelle italiane, avrebbero potuto avere nel tempo anche un valore notevolmente differente, perché emesse sulla base di una riserva valutaria che poteva essere anche di tipo “pregiato” e Lire che, nel momento in cui avessero raggiunto un valore particolarmente importante, avrebbero potuto persino essere utilizzate come moneta di scambio.
Che la Sicilia, con lo Statuto Speciale, divenisse un vero e proprio stato autonomo lo dichiarò persino Luigi Einaudi, il famoso economista, già governatore della Banca d’Italia e poi divenne Presidente della Repubblica Italiana, in occasione, nel 1948, della discussione all’Assemblea Costituente sul coordinamento dello Statuto siciliano con la Costituzione italiana. In particolare, Einaudi, intuendo le eccezionali possibilità insite nell’art. 40 della carta costituzionale siciliana, paventava in quell’occasione ai costituenti, come ha ricordato anche Francesco Renda in “L’emigrazione in Sicilia” il pericolo che la Sicilia potesse battere “una lira siciliana diversa da quella italiana”. All’allarme dell’economista piemontese rispondeva sicuro Andrea Finocchiaro Aprile, con l’affermazione che “noi Siciliani ci compiacciamo, perché ci darà, in un giorno che ci auguriamo non lontano, la possibilità di creare utilmente una nostra valuta”.
Quale, dunque, migliore attestazione avrebbe potuto ricevere la Sicilia, da quelle altissime personalità, riguardo alla sua sovranità politica che doveva essere prima di tutto sovranità monetaria? Le lire siciliane che tanto avevano terrorizzato l’economista Einaudi, avrebbero, dunque, dato ai governi siciliani i mezzi per sviluppare l’economia dell’Isola e sconfiggere così la sua centenaria disoccupazione, ma soprattutto i mezzi per non dipendere economicamente e politicamente dal governo italiano.
Si parla tanto, oggi, di sovranità popolare della moneta: ebbene l’art. 40 dello Statuto Siciliano ha rappresentato e rappresenta uno di quei rari e fulgidi casi in cui il diritto ha previsto esplicitamente la proprietà pubblica della moneta.
Col destinare ai bisogni della Regione Siciliana l’uso delle valute estere dei siciliani e di conseguenza la moneta emessa nell’Isola sulla scorta di tali divise, il legislatore ha inteso affrancare il Popolo Siciliano dall’usura del signoraggio delle banche centrali cosiddette “nazionali”.
Naturalmente tutto ciò non poteva essere in alcun modo tollerato dai quei poteri forti italiani che dall’unità in poi sono stati sempre dietro le quinte a depredare indisturbati i popoli del sud e soprattutto quello siciliano.
Come molte norme dello Statuto di Autonomia, grazie anche al tradimento dei molti ascari siciliani che investiti di responsabilità politiche hanno solo pensato al proprio miserabile tornaconto, quella dell’art. 40 ha subito la
stessa sorte delle “grida” di manzoniana memoria e cioè una ineluttabile lettera morta! E se aggiungiamo il valore del tesoro estrattivo, eolico, il solare, ittico, turistico, intellettuale etc. per comprendere che il Popolo Siciliano, all’oscuro di tutto, non immagina nemmeno le immense potenzialità possedute e l’enormità di perdite economiche che ha dovuto subire e continua a subire a causa dell’inadempienza di tale norma. Il sistema bancario Italiano, governato dai ricchi Piemontesi, ha pensato bene di chiudere tutte le banche del meridione.(Banco di Sicilia e Banco di Napoli)

1 commento

  1. Mi preme specificare – sono il lettore al quale risponde Maganuco nel testo – che non esistono storici “meridionalisti” e storici “antimeridionalisti” (ma suppongo si debba leggere “antimeridionali”), almeno se parliamo di studiosi seri, che possono appartenere a scuole diverse ma si caratterizzano per l’applicazione di un rigoroso metodo scientifico alle loro ricerche, e non di tifosi di club: esistono gli storici e poi ci sono persone che fanno altri, rispettabili mestieri.
    Per quanto riguarda il numero delle vittime del 14 agosto 1861 in Pontelandolfo e Casalduni, continuo a ritenere che gli studi più attendibili perché condotti su fonti dirette e di prima mano siano quelli di Ferdinando Melchiorre Pulzella, Storia dei fatti di Pontelandolfo, che valuta le vittime fra i civili in numero di quindici, precisamente tredici a Pontelandolfo e due a Casalduni, e Davide Fernando Panella, “L’incendio di Pontelandolfo e Casalduni: 14 agosto 1861”, disponibile quest’ultimo perfino in rete e condotto sui “Libri mortuorum” di Pontelandolfo e Casalduni, e su una memoria scritta dal parroco di Fragneto Monforte.
    Panella delle vittime riporta le generalità anagrafiche, il luogo di sepoltura e naturalmente il numero totale: i morti del 14 agosto furono 13, di cui 10 intenzionalmente uccisi, 3 morirono bruciati. Costoro erano persone anziane, che presumibilmente non erano riuscite a sfuggire alle fiamme. Fra questi 13 morti, 11 erano uomini e 2 donne, rispettivamente di 94 e 18 anni. Nei mesi successivi si riscontrò una mortalità più alta della norma, presumo con Panella per le conseguenze dell’incendio.
    Il numero delle vittime è confermato da una lettera inviata ad un parente da una abitante di Pontelandolfo, Caterina Lombardi, il 3 settembre 1861 che le indica in “circa 13” (cfr. Corriere del mezzogiorno, G. Desiderio, Pontelandolfo 1861. Le prove che non fu un eccidio). Il numero di 164 vittime è indicato da Civiltà Cattolica, anno duodecimo, vol. XI della IV serie, Roma, 1861, p. 618, senza ulteriori specificazioni ma non venne preso sul serio neppure da Giacinto De Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, vol. Quinto, Viterbo, Presso Sperandio Pompei, 1867, p. 133, che elenca sei morti a Pontelandolfo (i due fratelli Rinaldi, Concetta Biondi, Nicola Biondi, Giuseppe Santopietro e un sesto di cui non fa il nome) e aggiunge poi alcune frasi generiche di condanna senza fornire cifre: e non era certo disinformato né disposto a minimizzare le vittime di un attacco compiuto dall’esercito italiano.
    I fatti di cui discutiamo furono talmente tragici che mi sembra davvero una mancanza di rispetto nei confronti proprio di quei morti il tentare di usarli per fini che nulla hanno di scientifico.
    Giovanni Spadolini non mi risulta si sia mai occupato delle vicende dell’agosto 1861. Giordano Bruno Guerri ha scritto buoni libri – che conosco benissimo – ma anche pessimi centoni di natura commerciale e talvolta, come in questo caso, usando solo fonti di seconda mano. Il Cavour, morto il 6 giugno 1861, non poteva governare alcunché il 14 agosto.

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