Lo studente universitario reclutato dalla mafia e il coraggio di due imprenditori

 
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Niscemi. Alberto Musto, giovane rampante niscemese, studente universitario, ha raccolto il testimone di Giancarlo Giugno, che lo aveva inserito nel “vivaio” delle nuove leve criminali del paese già da tempo.

Riconosciuto quale nuovo reggente della famiglia di Niscemi,  Musto ha intrecciato, nel tempo, anzitutto stretti rapporti con il pastore niscemese Rizzo, persona di fiducia del boss gelese Barberi, noto per avere ospitato presso il proprio ovile, sito in contrada Ursitto, riunioni che vedevano protagonisti i reggenti delle famiglie di Niscemi e Gela, Giugno e Barberi.

Musto reclutava anche altri adepti nella consorteria tra volti già noti Alessandro Ficicchia, storico appartenente a cosa nostra niscemese, e altri meno conosciuti che, però, già Giugnoo aveva “avvicinato, come il marmista niscemese Luciano Albanelli.

Anche altro storico appartenente alla cosca mafiosa, Salvatore Blanco alias “Turi paletta”, storicamente legato alla famiglia di Arcerito Giuseppe, sebbene trasferitosi al nord Italia, ha continuato a far parte attiva della “famiglia” guidata da Musto, e non disdegnava di tornare a Niscemi periodicamente per porre in atto richieste estorsive a carico di esercenti commerciali locali.

Tutta l’attività dei soggetti fermati appartenenti alla cosca malavitosa locale è stata catalizzata sulle estorsioni, estorsioni a tappeto ai danni di numerosi commercianti locali necessarie per foraggiare l’associazione stessa e le famiglie dei detenuti. E proprio per costringere i commercianti a pagare, si è registrato una preoccupante escalation di atti intimidatori, anche attraverso l’uso di armi ed ordigni esplosivi, per convincere le vittime a pagare, onde evitare gravi conseguenze. E’ stato proprio un grave danneggiamento, consistito nell’incendio dell’autovettura, ai danni di un commerciante niscemese che aveva tentato di resistere, non pagando il “pizzo” richiesto, a determinare la vittima a rendere dichiarazioni agli organi inquirenti, abbattendo quel  muro di omertà.

Le dichiarazioni dei due imprenditori fornivano un assist importante per assicurare alla giustizia i colpevoli dell’attività criminosa.

Nel corso delle indagini venivano acquisite  fonti di prova in ordine al ruolo ed  alla responsabilità di tutti gli odierni indagati, associati mafiosi che erano soliti porre in essere quelli che sono i reati fine tipici dell’associazione mafiosa, nonché il ruolo apicale che riveste Barberi quale capo – mandamento di Gela comprendente, tra gli altri, il comune di Niscemi, il quale, nei giorni recenti, cercava chi fosse stato a Niscemi a “spendere” il suo nome, temendo per un suo arresto in ordine anche all’estorsione denunciata dai due coraggiosi imprenditori niscemesi.

Fibrillazione del capo mandamento che si riversava sul reggente niscemese che, temendo di perdere credibilità ai suoi occhi, si mostrava contrito con Rizzo che gli aveva portato l’ambasciata del capo, esprimendo anche l’intenzione – quasi per riaccreditarsi – di porre in essere atti lesivi dell’incolumità dei due imprenditori, ritenuti responsabili, ai loro occhi, di aver rotto il vincolo di omertà che sino ad oggi persisteva in quel territorio e che consentiva loro di agire indisturbati e noncuranti della presenza delle forze dell’ordine sul territorio. Da ciò la necessità della Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta ad emettere decreto di fermo a carico degli odierni fermati, considerato peraltro che – come emerso dalle indagini – avevano disponibilità di armi, che potevano continuare a reiterare i reati-fine propri dell’associazione criminale, e che potessero darsi  alla fuga, consci della denuncia a loro carico.

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