Mafiosi di altre province, i fogli in carcere e gli ordini del boss: avvocato “organico al clan”

 
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Uno dei colloqui in carcere tra Ferrara e Rinzivillo ripreso dagli inquirenti

Gela. Non era semplicemente l’avvocato di esponenti di spicco della criminalità organizzata locale. Secondo i pm della Dda di Caltanissetta, il legale trentanovenne Grazio Ferrara avrebbe avuto un ruolo di primo piano nella gestione di presunte attività illecite, soprattutto facenti capo al boss Salvatore Rinzivillo, fratello degli ergastolani Antonio e Crocifisso. A parlare per la prima volta di un possibile inserimento criminale di Ferrara fu il collaboratore di giustizia Roberto Di Stefano, ex vertice del gruppo Rinzivillo, che rispondendo ai pm della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta fece il nome dell’avvocato, accostandolo ad un possibile traffico di droga e armi. Da quel momento, l’attenzione degli investigatori si concentrò sul giovane avvocato, difensore di fiducia di Salvatore Rinzivillo ma anche di una altro esponente della criminalità organizzata locale, Carmelo Collodoro. I pm nisseni, anche se non hanno una vera conferma, nelle carte dell’inchiesta “Exitus”, non escludono che Collodoro possa essere il nuovo reggente, dopo l’arresto di Salvatore Rinzivillo. Anche il cinquantasettenne risulta tra gli indagati. Su Ferrara, invece, i magistrati scrivono di un suo presunto ruolo di “intermediario di Rinzivillo nella gestione delle attività illecite”. Il professionista è stato seguito e intercettato per mesi, soprattutto dopo gli arresti eseguiti con la maxi indagine “Extra Fines-Druso”, che ha fatto scattare le manette anche ai polsi di Salvatore Rinzivillo. Il boss, però, aveva ormai approfondito i rapporti con il legale e sarebbe stato lui a contattarlo per la prima volta, dopo essersi fatto fornire un recapito telefonico da un cugino di Ferrara. All’avvocato, ad un certo punto, Rinzivillo avrebbe delegato anche incontri importanti, con esponenti di spicco delle cosche di altre zone della Sicilia. Fu Ferrara, secondo gli investigatori, ad accompagnare Rinzivillo a Salemi, in provincia di Trapani, per incontrare Paolo Rabito. Ma Ferrara avrebbe visto più volte anche altri esponenti mafiosi, come il messinese Santo Napoli e il vittoriese Roberto Salerno.

Secondo gli inquirenti, era diventato una sorta di ambasciatore di Rinzivillo e spesso si muoveva su commissione del boss, anche quando il capo si trovava a Roma, dove risiedeva abitualmente. Nelle carte dell’indagine, si passano al setaccio i presunti rapporti di fiducia tra Ferrara e Rinzivillo, che sarebbero andati ben oltre il mandato legale. L’avvocato, anche se non c’è stata la ricostruzione di veri e propri fatti criminali, avrebbe partecipato attivamente a presunti affari illeciti. Dopo l’arresto di Rinzivillo, l’attenzione degli inquirenti si è quasi del tutto concentrata sul legale, intercettato anche a bordo della sua Fiat 500x. Nel corso di una conversazione, intrattenuta con un amico, Ferrara avrebbe spiegato il sistema che usava per comunicare con Rinzivillo durante i colloqui in carcere. Alcuni fogli, con messaggi già scritti, venivano inseriti in carpette o tra le migliaia di pagine dell’ordinanza “Extra Fines-Druso”, di modo da sfuggire ai controlli. Gli ordini del boss venivano poi recapitati all’esterno. Sono stati monitorati i rapporti con altri indagati. Ferrara avrebbe avuto pesanti screzi con Benedetto Rinzivillo, che in base all’inchiesta, sosteneva economicamente i cugini ergastolani, e con Giuseppe Incorvaia. Avrebbe fatto da paciere anche quando un suo cugino, rappresentante di carni, avrebbe subito pesanti intimidazioni da Benedetto Rinzivillo, che lo avrebbe minacciato imponendogli di non rifornire suoi clienti. Secondo i magistrati, il giovane avvocato, era “organico al clan Rinzivillo”. Da quanto emerge, nei rapporti con Carmelo Collodoro (indagato ma non sottoposto a misura cautelare), Ferrara avrebbe tentato di far incidere la sua attività professionale, attraverso possibili acquisiti all’asta di terreni e immobili. Per i pm, avrebbe tentato di riciclare denaro dei clan, anche se non ci sono dati concreti rispetto ad un’attività illecita di questo tipo.

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