Per la “spazzacorrotti” deve andare in carcere, caso imprenditore gelese alla Corte Costituzionale

 
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Gela. Deve scontare un residuo di pena di sette mesi di reclusione, almeno in base alla cosiddetta “spazzacorrotti”. Una normativa che la difesa dall’imprenditore Emanuele Comandatore ritiene incostituzionale. Sarà l’avvocato Giacomo Ventura a sostenerne le ragioni, questa volta davanti ai giudici della Corte Costituzionale. L’udienza è stata fissata per fine febbraio. Nell’ottobre dello scorso anno, i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta avevano già dato un primo benestare, sostenendo che la questione di incostituzionalità, sollevata dal legale, fosse “non manifestamente infondata”. I magistrati nisseni hanno trasmesso tutti gli atti ai giudici costituzionali, che dovranno pronunciarsi. Secondo la difesa di Comandatore, insieme ad altri familiari coinvolto in un’inchiesta legata alle vicende dell’ex banca cooperativa Sofige, la legge “spazzacorrotti” non prevede alcuna distinzione, in termini di misure alternative al carcere, tra reati di corruzione e quelli di mafia o terrorismo. Ci sarebbe un’evidente sproporzione sul piano del trattamento sanzionatorio. Anche per questa ragione, la difesa ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, che se fosse giudicata fondata anche dai giudici romani, allora metterebbe del tutto in crisi il fondamento normativo della “spazzacorrotti”.

In assenza di una norma transitoria, il caso dell’imprenditore rientra tra quelli puniti con questa legge, nonostante i fatti siano precedenti all’entrata in vigore. Dovrebbe andare incontro alla detenzione, visto che la normativa contestata non prevede l’applicazione di misure alternative.

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