“Smim non si occupava di amianto”, Barbieri in aula: operaio morì per grave patologia

 
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L'ex area Smim

Gela. Per la procura, il mesotelioma pleurico che causò il decesso di un ex operaio dell’azienda Smim fu direttamente legato ad una lunga esposizione alle polveri di amianto. Lavorò alle dipendenze della società, tra quelle più importanti dell’indotto Eni e negli scorsi anni dichiarata fallita, dal 1973 al 1992 e poi fino al pensionamento. Per l’accusa, avrebbe avuto una costante contatto con le polveri killer. I familiari e l’Ona sono parti civili nel giudizio, assistiti dal legale Davide Ancona. A risponderne in dibattimento, c’è l’imprenditore Giancarlo Barbieri. L’ex guida della Smim è stato sentito in settimana, davanti al giudice Miriam D’Amore. Ha difeso su tutta la linea l’attività condotta dall’azienda. “Non abbiamo mai avuto a che fare con l’amianto – ha detto – ci occupavamo di meccanica”. L’ipotesi avanzata dai pm è l’omicidio colposo, a seguito delle presunte inosservanze sull’attuazione delle misure di prevenzione. “Avevamo tutti i dispositivi necessari, mascherine, guanti e non solo – ha proseguito – non avremmo potuto fare diversamente. Eravamo costantemente controllati da Eni che altrimenti ci avrebbe sanzionato. C’erano anche spogliatoi e docce”. Barbieri è difeso dall’avvocato Flavio Sinatra. Ci sono state produzioni documentali delle parti. L’accusa ha ricordato la presenza di eternit nel capannone che veniva usato per le lavorazioni.

Secondo i consulenti della procura, c’è un nesso causale tra l’amianto e la grave patologia che determinò il decesso dell’operaio. La difesa, già nelle precedenti udienze, ha insistito sui periodo di attività del lavoratore e ha prodotto decisioni, relative ad altri procedimenti, che hanno escluso la responsabilità dell’imprenditore. In aula si tornerà per proseguire l’istruttoria.

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