Vittorioso morto per l’esplosione di un forno, Cassazione annulla condanna

 
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Vittorioso morì durante le operazioni di avvio di un forno per la rigenerazione dei catalizzatori

Gela. La morte dell’operaio Salvatore Vittorioso, avvenuta per un grave incidente sul lavoro nel gennaio di tredici anni fa, portò a processo manager e responsabili dell’azienda Ecorigen. Il decesso si verificò, infatti, a seguito dell’esplosione del forno R9101, usato nel ciclo della rigenerazione dei catalizzatori esausti, all’interno della fabbrica Eni di contrada Piana del Signore. Per quei fatti, dopo le condanne di primo grado, emesse dal giudice del tribunale di Gela, due anni fa arrivarono assoluzioni, in appello, per Francis Valeri (della proprietà di Ecorigen) e per Giulio Bonfissuto. E’ stata invece la Cassazione a disporre l’annullamento dell’altra condanna, quella nei confronti di Ezio Viglianti, che all’epoca dei fatti era responsabile degli impianti. Sono state pubblicate le motivazioni, alla base dell’annullamento, con rinvio. Per i giudici romani dovranno essere nuovamente quelli della Corte d’appello di Caltanissetta a ritornare sulle contestazioni mosse a Viglianti. In base alle indagini, ci furono delle scelte errate, anche sulle manovre effettuate, che portarono poi all’esplosione. Il licatese Vittorioso, che lavorava per Ecorigen, fu travolto dal portello del forno, che si staccò a causa della potenza dell’esplosione. I legali di Viglianti, gli avvocati Carmelo Peluso e Stefano Arcifa, si sono rivolti alla Cassazione, impugnando la condanna di appello, rimasta in piedi solo per la posizione del loro assistito. Valeri e Bonfissuto sono stati assolti dai giudici nisseni. Per lo stesso Viglianti era stata decisa solo una riduzione dell’entità (in primo grado la pronuncia fu di un anno e quattro mesi di reclusione con pena sospesa). Secondo la difesa, però, già i motivi espressi dalla Corte d’appello di Caltanissetta confermarono che in realtà le responsabilità maggiori erano da ricercare nelle manovre e negli interventi effettuati da uno dei capiturno, in servizio in quelle ore. I legali hanno richiamato il “negligente comportamento” dello stesso capoturno. I giudici romani hanno accolto le ragioni del ricorso.

Nelle motivazioni si spiega che già la Corte d’appello aveva stabilito “testualmente che la responsabilità dell’accaduto doveva essere evidentemente ricondotta in capo al soggetto a cui erano devolute tali operazioni nell’ambito della organizzazione aziendale, il quale aveva colpevolmente trascurato di rimuovere la manichetta in polietilene che insufflava aria all’interno del forno e, comunque, proceduto – nonostante i dati acquisiti evidenziassero il fatto che lo stesso non andava in depressione – alle operazioni di avvio del macchinario, trasgredendo con ciò alla prescrizione – a lui nota in quanto formalmente comunicatagli con ordine di servizio controfirmato in data 1 settembre 2008 – che imponeva, invece, di “attendere lo svuotamento o lo spurgo dell’aria all’interno del forno”. Quindi, i giudici di appello avrebbero dovuto “argomentare in maniera più diffusa sul rapporto di causalità tra l’omissione addebitata all’imputato e la morte del lavoratore. Ciò spetterà al giudice del rinvio”, concludono i magistrati romani nel pronunciare l’annullamento con rinvio.

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