Agguato Lisciandra, l’accusa chiede 18 anni per i fratelli Sciascia, 4 per Alabiso

 
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Gela. Pene pesantissime per i fratelli Sciascia, ritenuti i mandanti del tentato omicidio dell’allora presidente della Juveterranova Fabrizio Lisciandra.

Il sostituto procuratore della Dda, Gabriele Paci, ha chiesto 18 anni e 9 mesi per Emanuele Sciascia, 18 anni e 6 mesi per il fratello Giuseppe, ritenuti responsabili di associazione mafiosa e del tentato omicidio del professionista, mentre 4 anni e mezzo sono stati sollecitati per Giuseppe Alabiso, e 4 anni per il collaboratore di giustizia Gianluca Gammino, uno dei presunti sicari. Secondo l’accusa non ci sono dubbi sul fatto che i fratelli Sciascia avessero addirittura ordinato la morte dell’ingegnere Lisciandra, che si sarebbe opposto non solo alla nomina di Alabiso alla presidenza della Juveterranova, ma soprattutto l’accesso di Cosa nostra agli appalti dell’indotto Eni. Gammino era uno degli esecutori.

I collaboratori in tal senso non sono stati concordanti. Lo stesso Gammino e Carmelo Billizzi hanno detto in videoconferenza che non volevano uccidere Lisciandra ma solo spaventarlo. L’agguato non era finalizzato ad ucciderlo ma solo a intimidirlo. Dichiarazioni opposte rispetto a quelle di Crocifisso Smorta, che invece ha detto che l’intenzione era quella di uccidere Lisciandra. I due pentiti hanno detto che spararono volutamente in basso con la chiara intenzione di mettere paura all’allora presidente della Juveterranova.

L’accusa ha sottolineato che nel 1998 i fratelli Sciascia rappresentavano “la mafia a Gela, seppur servisse sempre il placet di Daniele Emmanuello”. Saro Trubia si definiva “il sindaco di Gela”. Fu lui a invitare Lisciandra in un summit con gli Sciascia, Alabiso e Smorta a farsi da parte.

Lisciandra dava fastidio perché si era opposto alla volontà della consorteria mafiosa di volere penetrare nel mondo dello sport ed in quello degli appalti nel petrolchimico dell’Eni, attraverso il tentativo di controllo della società calcistica della Juveterranova, presieduta proprio dalla vittima designata, e del Cns, uno dei consorzi che faceva capo alla Lega delle Cooperative, che fungeva da centro servizi e raggruppava alcune imprese e società della cooperazione che operavano nello stabilimento. 

 

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