Ancora qualcosa sulla poesia di Gaetano Trainito

 
0

Gela. Nel mio primo intervento (vedi titolo – Gaetano Trainito: Sete di spazi. Sottotitolo: Da Schopenhauer a Cioran, alla luce),

mi sono soffermato su alcune poesie tratte appunto dalla silloge Sete di spazi, cercando di metterne in evidenza i pregi letterari nonché psicologici. Ma Gaetano Trainito ha dato alle stampe altre raccolte, come Lontani approdi e Stelle di gesso.

Anche queste sillogi meriterebbero uno studio approfondito alla stessa stregua di Sete di spazi. Ma, avendone già messa in evidenza la filosofia di vita e di pensiero, mi limito a commentare di Trainito solamente due poesie, A Beate di Approdi lontani e Stelle di gesso, che è quella che dà il titolo all’omonima raccolta. Ho scelto queste due poesie, non perché oggettivamente migliori delle altre dal punto di vista letterario-psicologico, ma semplicemente perché sono stato fortemente colpito dai relativi temi trattati. 

Autentico capolavoro è A Beate, sette versi, di cui quattro composti ognuno di una sola parola. Non sarebbe possibile, se non a Trainito, descrivere la passione per una donna con un così esiguo numero di parole, con risultati estetici e di significato tanto elevati. Come la pietra non ha bisogno di alcun aggettivo o che ne venga esplicitata ogni caratteristica per simboleggiare l’eternità, così la passione di Trainito non ha bisogno né di aggettivi, né di avverbi, né di articoli determinativi o indeterminativi, per potere esprimere la gamma dei sentimenti che una grande passione risveglia.

Passione che, nel poeta, risveglia energie sopite dall’abitudinarietà. Il nostro percepisce la presenza di Beate ovunque egli si trovi, di notte e di giorno, alla maniera di un mistico che sente su di sé la presenza ineluttabile di Dio. Beate è la dea del poeta, la sua infinita ossessione, il suo martellante pensiero che estromette qualsiasi altro pensiero; unico e solo pensiero vivificato dalla speranza di un traguardo che, sul momento, gli appare come un orizzonte e all’orizzonte. Il tempo, per il poeta, non scorre più quieto secondo i suoi ritmi consueti, umani. Cambia, nel poeta, la percezione del tempo, essendo egli preda di un’angoscia che nasce dalla consapevolezza che Beate costituisce il senso e lo scopo della sua vita. Ma tutto regge e si regge egregiamente grazie al potere lenitivo che, in simbiosi, hanno il cuore e la mente di prefigurarsi la meta, l’approdo lontano, come dice il titolo della raccolta.

Stelle di gesso è una poesia immaginifica, con significati profondi, perché tratta di sogni, quelle strane creature senza corpo che ci padroneggiano, dilagano nelle nostre anime, anche se sono, poi, destinati a dileguarsi: ma, come succede col gioco, anche i sogni lasciano sempre effetti. E, spesso, hanno persino l’ardire e l’ostinazione di ritornare.

In Stelle di gesso siamo di fronte ad una sorta di gioco. Anzi, siamo di fronte ad un vero e proprio gioco che, come è risaputo, costituisce l’attività più seria che ci sia data da svolgere. Ma perché le stelle? Perché uno dei sogni in pianta stabile nell’uomo è quello che lo lega alle stelle, la nostra ancora di salvezza in un universo senza le quali saremmo precipitati in un buio senza fondo. 

E’ un continuo richiamo ancestrale, perché stelle lo siamo anche noi, ne siamo frammenti, ne abbiamo la stessa composizione chimica. Spesso le rappresentiamo, le attraversiamo con l’immaginazione, le consideriamo il più seducente degli orizzonti, ne ricostituiamo periodicamente il legame. E dove è possibile la rappresentazione più immediata e simbolica se non su una lavagna d’ardesia, dove tutto ciò che può essere rappresentato può venire poi regolarmente cancellato dal solito pezzo di straccio? Ma ogni rappresentazione, per quanto fortemente cancellata, per quanto un sipario possa calare su di essa, continuerà il suo lavoro di scavo nella nostra realtà interiore. 

Questo è capitato anche al nostro poeta il quale, in un gioco di cui non saprebbe forse dare alcuna motivazione o spiegazione, se non quella potente, prepotente e gratificante che gli viene dal profondo, disegna stelle di gesso. E tanto più abile appare l’opera disegnata dal poeta, tanto più il gioco risulta appagante. In realtà, il poeta non disegna solamente stelle di gesso, è egli stesso, in quanto stella, che si rivela, si rappresenta, fa parte del sogno. Un sogno che, come tutti i sogni, è destinato a finire, è a tempo. Tempo che è imperiosamente scandito dal suono della campana della scuola che ne decreta la fine. Il poeta ne è distolto, viene implacabilmente fiondato nella realtà. E allora la mano, guidata da un imperativo che non ha nulla di volontario, si appresta a cancellare le stelle disegnate sulla lavagna, perché non ne rimanga traccia: devono tornare nel loro mondo senza consistenza fisica, perché hanno già espletato il loro rassicurante compito. Non è finita la lezione, come genialmente ci dice il poeta per imbrogliare le carte, ma una straordinaria esperienza.

E ora ancora qualcosa sulla rima. Probabilmente rimarrà sempre irrisolto il contrasto tra coloro che, come Salamov, vogliono che la poesia sia rimata perché è la rima che ne garantisce il presupposto per il quale è nata, e coloro che non le attribuiscono soverchia importanza, come Milton e Montale, i quali la ritengono un semplice ornamento, venuto, tra l’altro, a noia. Roger Caillois, invece, pur essendo difensore della rima in poesia, ammette che poeti geniali possono anche violarla e pervenire ugualmente a una indubbia musicalità.

Ma Gaetano Trainito spinge, se è possibile, il problema della rima a limiti ancora più estremi, cioè non se lo pone affatto come problema. Ebbene, le parole di Trainito, come ogni oggetto che circonda la nostra realtà, hanno consistenza e peso quasi materiali, in grado di produrre una loro precipua sonorità, una loro precipua musicalità. Le sue note sono spesso le note corpose, se così si può dire, della grande musica, la musica che aspira alla dimensione eterna. Perché i temi trattati da Trainito sono quelli eterni: l’amore nelle sue varie forme, l’esistenza e il suo epilogo, i dolori e le estasi, l’inesorabilità e le schizofrenie del tempo, ma soprattutto le risibili dimensioni dell’io, fiondato in un universo senza limiti. 

Foto: Dipinto di Jennifer Di Natale.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here