Donna con l’epatite C per trasfusioni di sangue infetto, Ministero ricorre sul risarcimento

 
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Gela. Una donna contrasse una forma di epatite C, a causa di trasfusioni di sangue infetto, risalenti a quasi cinquant’anni fa. I fatti si verificarono, tra il 1973 e il 1976, nell’allora struttura ospedaliera locale. Una vicenda, che a distanza di decenni, non è però conclusa. Su un fronte civilistico, per il risarcimento del danno subito, la questione è finita in Corte di Cassazione. Lo scorso anno, i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta avevano accolto almeno uno dei motivi del ricorso presentato dai legali della donna gelese. I magistrati nisseni disposero che il risarcimento dovuto alla paziente doveva essere corrisposto dal Ministero della salute, senza defalcare l’indennizzo spettante alla donna, in base ad una legge del 1992, che appunto interveniva a riconoscere un ristoro economico per chi avesse subito le conseguenze di trasfusioni di sangue infetto. In primo grado, il tribunale di Caltanissetta aveva previsto invece che la somma dell’indennizzo venisse esclusa dal risarcimento dovuto dal Ministero. In appello, la decisione è mutata e il Ministero ha scelto di impugnare in Cassazione, con i legali della paziente che a loro volta si sono opposti, ritenendo che il risarcimento sia da corrispondere per intero.

I giudici romani, anche per valutare in maniera più approfondita hanno disposto il rinvio ad “udienza pubblica”. Una decisione giustificata dal fatto che è stato “rilevato il carattere nomofilattico della questione oggetto del ricorso, in particolare quanto al dedotto difetto di disponibilità, in capo al Ministero, della documentazione relativa alla liquidazione dell’indennizzo”.

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