Il prete accanto agli ex operai Cedis: i più deboli non vanno discriminati

 
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Gela. Al fianco dei più deboli. Per sostenere chi ha perso il lavoro e non “contro” qualcuno. E’ forse la prima volta che la chiesa si schiera apertamente a favore degli operai dell’indotto del petrolchimico.

Ad accogliere il grido di dolore di due ex operai Cedis è stato don Luigi Petrali, parroco di Santa Lucia. Ha inscenato un sit in davanti ai cancelli della Raffineria per dare il suo sostegno non solo a Salvatore Pirillo e Stefano Cafà, ma a tutti quegli operai che hanno perso il lavoro in fabbrica. Insieme a Don Luigi anche Giuseppe Spata, presidente dell’associazione Libera. Nessun incatenamento, né ostruzionismo ai tornelli per impedire l’accesso agli altri operai. Ad ognuno di loro Petralia e Spata hanno consegnato un nastro rosso da legare al polso come segno di solidarietà come gesto di solidarietà verso gli operai discriminati o dimenticati. “Il rosso – sottolinea don Petralia – è il colore del martirio, il colore del sangue versato dalle vittime degli infortuni sul lavoro e da chi si è suicidato perché è senza occupazione”.

Gli ex Cedis Pirillo e Cafà aspettano da quattro anni di essere assorbiti da altre aziende. L’ultimo contratto, alla Edilponti, è durato un mese e mezzo.

“Ci hanno chiesto aiuto – dice Don Petralia – la chiesa vuole dare voce a questi lavoratori. Quando accadono le tragedie diventiamo solidali. Perchè aspettare di batterci il petto e non aiutiamo adesso questi lavoratori? Chi è più debole, più fragile, viene punito due volte, come nel caso di Salvatore Pirillo. La settimana scorsa si è verificato un caso diverso alla ex Corima. Non entro dentro la questione ma come uomo di chiesa mi interessa fare qualcosa per aiutare chi non può aiutare le proprie famiglie. Bisogna capire qual è il criterio adottato, che giustifica la riassunzione di tutti i dipendenti di imprese come la ex Cedis o la ex Corima, tranne pochissimi”.

“Un mese di lavoro non risolve il nostro problema – dicono Salvatore Pirillo e Stefano Cafà – sono quattro anni che aspettiamo. In 35 sono stati assorbiti e tre sono rimasti fuori. Non ci interessa dove, ma solo lavorare”.

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