L’asse mafioso Gela-Niscemi, a settembre la Cassazione deciderà i ricorsi di Barberi, Musto e Rizzo

 
0

Gela. Verranno valutati a settembre i ricorsi presentati dai difensori contro le pesanti condanne, già pronunciate sia in primo che in secondo grado.


L’inchiesta “Fenice”. Il gelese Alessandro Barberi e i niscemesi Alberto Musto e Fabrizio Rizzo finirono al centro dell’inchiesta antimafia “Fenice”, attraverso la quale i pm della Dda di Caltanissetta hanno ricostruito il nuovo, presunto, organigramma del clan di cosa nostra. Il progetto sarebbe stato di riorganizzare la famiglia sia a Gela che a Niscemi. Uno dei ruoli di riferimento sarebbe toccato ad Alessandro Barberi, a sua volta molto vicino al boss niscemese Giancarlo Giugno che, intanto, aveva individuato il giovane Alberto Musto come suo presunto luogotenente. Sedici anni di reclusione sono stati comminati, negli altri gradi di giudizio, ad Alessandro Barberi, in continuazione con un precedente verdetto, dieci anni e un mese ad Alberto Musto e otto anni a Fabrizio Rizzo. I nomi di Barberi e Musto, peraltro, anche se non indagati, si ripetono negli atti dell’inchiesta “Polis”, appena messa a segno dagli stessi pm della Dda di Caltanissetta e dai poliziotti della mobile nissena, del commissariato di Niscemi e di quello di Gela. In questo caso, tutto verte intorno all’appoggio dei clan all’elezione dell’ex sindaco Francesco La Rosa. Per i giudici, il gruppo scoperto con il blitz “Fenice” mirava a riprendere il controllo del giro di estorsioni, mettendo a segno una serie di danneggiamenti e intimidazioni. I difensori dei tre imputati, gli avvocati Flavio Sinatra, Francesco Spataro e Antonio Impellizzeri hanno contestato, in entrambi i gradi di giudizio, le risultanze d’indagine, sottolineando anche l’infondatezza delle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia, con in testa Roberto Di Stefano, successivamente uscito dal programma di protezione e condannato nel procedimento scaturito dal blitz antimafia “Fabula”. Tra le contestazioni mosse agli imputati, anche quella legata alle pressioni subite dai fratelli Lionti, imprenditori niscemesi, che si sono costituiti parte civile così come l’associazione antiracket “Gaetano Giordano”, rappresentata  dall’avvocato Giuseppe Panebianco. 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here