Lavoro irregolare nelle loro sale, dipendenti denunciarono: condanne ai Brigadieci

 
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Gela. L’indagine partì dalle segnalazioni di due ex dipendenti delle loro sale. Per Orazio Brigadieci e Claudio Brigadieci, è arrivata la condanna a tre anni e quattro mesi di reclusione. I due imprenditori, che sono impegnati nel settore delle slot e hanno investito in altre attività in città, erano a processo, con l’accusa di estorsione. In base alla ricostruzione degli inquirenti, le condizioni di lavoro imposte alle ex dipendenti si rivelarono del tutto difformi dalla normativa in materia. Orari di lavoro molto più lunghi di quelli previsti nei contratti, retribuzioni di gran lunga inferiori e lo svolgimento di mansioni differenti e più pesanti, praticamente imposte alle dipendenti, sono alcuni degli aspetti ricostruiti. Dopo una lunga istruttoria dibattimentale, per fatti che risalgono a nove anni fa, il giudice Miriam D’Amore ha ritenuto sussistenti le contestazioni, pronunciando la condanna, seppur con il riconoscimento delle attenuanti. E’ stato invece assolto un terzo imputato, ex collaboratore degli imprenditori. Per Emanuele Di Stefano, difeso dall’avvocato Davide Limoncello, è stata emessa una decisione favorevole, perché ritenuto non direttamente coinvolto, anche per il ruolo ricoperto in quelle attività. L’assoluzione è stata chiesta dal pm Pamela Cellura e il difensore ha ribadito che Di Stefano non ebbe alcun ruolo nella gestione dei rapporti lavorativi. Il pm, invece, al termine della requisitoria, ha ritenuto pienamente provate le accuse ai Brigadieci, chiedendone la condanna a tre anni e sei mesi di detenzione. Le due ex dipendenti erano costituite parti civili, con il legale Giovanni Lomonaco, ma non hanno partecipato all’udienza, senza quindi rassegnare le loro conclusioni. Secondo le accuse, gli imprenditori avrebbero imposte condizioni irregolari, facendo pressioni sulle lavoratrici. Se non avessero accettato, la conclusione sarebbe stata la perdita del posto di lavoro. I legali di difesa, gli avvocati Liliana Bellardita e Raimondo Tripodo, hanno invece delineato un perimetro argomentativo del tutto differente, spiegando che i Brigadieci non avrebbero avuto interesse ad imporre condizioni di lavoro irregolari. Secondo le loro conclusioni, le lavoratrici non sarebbero mai state sottoposte a pressioni o obbligate a svolgere mansioni ulteriori, rinunciando alle retribuzioni previste dai contratti.

Anzi, hanno parlato di imprenditori che in passato furono vittime di estorsioni, con le minacce dei clan. Sarebbero stati loro, secondo i legali, vere vittime, rispetto a possibili azioni di rivalsa di ex dipendenti. Hanno fatto notare l’assenza in aula delle lavoratrici che denunciarono, ritenendolo un segnale chiaro. Conclusioni che però non hanno convinto il giudice D’Amore, che ha accolto quasi integralmente le indicazioni dell’accusa, pronunciando la condanna per gli imprenditori e confermando le pesanti contestazioni che hanno portato a processo.

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