Medico gelese shock: “Ho il Covid e rischio la vita, lavoriamo senza vere protezioni”

 
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Il medico ha deciso di parlare dal letto di ospedale

Gela. Sono parole dure, senza ripensamenti, quelle che il medico gelese cinquantanovenne Domenico Minasola pronuncia dal letto di un ospedale di Padova, dove da alcuni giorni è ricoverato, con una polmonite bilaterale, in terapia semintensiva. E’ positivo al Covid e il casco per respirare rende tutto ancora più difficile. E’ stato lui stesso a decidere di immortalarsi in un video, registrato con il suo smartphone, diffondendo un messaggio che è un duro atto di accusa verso chi poteva e non ha fatto. Dalla frontiera veneta dei malati Covid, si è rivolto al presidente del consiglio Giuseppe Conte. Fino a qualche giorno prima della positività, il medico di base gelese, che ormai da anni vive e lavora a Padova, era su un’altra frontiera. Nel suo studio professionale, nel popoloso quartiere padovano Sacro Cuore, ad effettuare decine di tamponi ai pazienti. Come dice lui stesso nel videomessaggio diffuso anche ai media, i medici di base sono “stati lasciati soli”. “Caro presidente Conte, sono un medico di famiglia e, come tanti altri contagiati, sono ricoverato in terapia semintensiva con una polmonite bilaterale. Io non so se rivedrò mia moglie e i miei figli e ora, da questo letto, mi sento di dirle che lei dovrebbe rimuovere chi non è stato all’altezza della situazione”, ha detto. In base ad un accordo siglato dai sindacati del settore e dal governo, gli studi dei medici di base sono diventati punti dove poter effettuare i tamponi. Tutto questo, però, solo con “mascherina e camice”, ha spiegato Minasola.

“Avrebbero dovuto vestirci con tute e scafandro e non solo con mascherine e camici. Ci voleva organizzazione da parte del Ministero della salute e del comitato tecnico scientifico, che doveva darci disposizioni precise di protezione individuale – accusa – e non solo imporre nuove misure verso i nostri assistiti”. Nell’arco di poche settimane, secondo il medico, gli studi professionali si sono trasformati in potenziali focolai e lui stesso ne paga le gravi conseguenze. Le ridotte dimensioni dell’ambulatorio, lo hanno spinto a ricevere i pazienti in un’area esterna, improvvisando una sorta di drive-in per i tamponi. “Condivido la strategia – dice Minasola – ma con protezione, istruzione e sanificazioni degli ambulatori, che invece abbiamo sempre dovuto organizzare noi. Perché devo rischiare la mia vita, quando c’è chi passa le giornate a commentare l’indice Rt? Nessuno si è ancora reso conto di cosa sta accadendo alla medicina territoriale. Io mi rivolgo a Conte, mi aspetto la sua vicinanza e, soprattutto, che agisca subito. Se c’è da migliorare qualcosa bisogna farlo adesso. Questa è una battaglia che dobbiamo vincere e affrontare insieme”. Il medico in frontiera, come tanti suoi colleghi, adesso si trova dall’altra parte della barricata, costretto in un letto di ospedale a lottare per la vita.

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