Muore in ospedale nonna Provvidenza, per i figli la Medicina è un disastro

 
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Gela. Nonna Provvidenza Trubia non ce l’ha fatta. Il suo cuore ha cessato di battere alle 23 di venerdì. I medici del reparto di Rianimazione hanno fatto l’impossibile per sottrarre l’ottantenne al suo tragico destino.

I familiari hanno rivolto pesanti accuse contro il reparto di Medicina, anche se le condizioni cliniche della paziente erano critiche.

Era stata ricoverata lo scorso 19 dicembre per un problema polmonare, lo stesso che l’ha condotta alla morte. Durante la sua agonia, durata venticinque giorni, nonna Provvidenza aveva contratto un’infezione sfociata anche con il blocco renale.

Si era ripresa, riconoscendo i familiari a Natale e convincendo i medici a trasferirla nel reparto di Medicina. Per tre volte però aveva perso conoscenza tanto da essere sottoposta alla respirazione artificiale.

Dall’ultimo stato di coma, avvenuto martedì 2 gennaio, non si è più ripresa. “Vogliamo che altri pazienti non abbiano gli stessi problemi avuti in ospedale da mia madre – dice il figlio Giuseppe Vizzini – Il reparto di Medicina è un vero e proprio disastro per i pazienti.

Nonostante mia madre fosse ricoverata in gravissime condizioni, ogni persona aveva accesso libero ai reparti. Alcune badanti romene sghignazzavano nelle stanze, infischiandosene dei pazienti sofferenti.

Non formalizzeremo alcuna denuncia contro i medici dell’unità di Medicina, speriamo solo che qualcosa cambi al più presto”.

Il corpo privo di vita dell’ottantenne Provvidenza Trubia è stato consegnato al marito Salvatore Vizzini di 82 anni, stretto nel cordoglio insieme ai cinque figli e 13 nipoti. Oggi pomeriggio alle 15 un corteo funebre partirà dalla sua abitazione di via Ciro Menotti per raggiungere la chiesa Madre, dove saranno celebrati i funerali per l’ultimo saluto a nonna Provvidenza che precederà la definitiva tumulazione presso il cimitero di contrada Farello.

Il racconto del dramma:

Il calvario di nonna Provvidenza è iniziato il 19 dicembre dell’anno appena trascorso, quando con un’ambulanza del 118 è stata consegnata nelle mani dei medici del Pronto soccorso di via Palazzi. I sanitari ne ordinarono l’immediato ricovero ospedaliero nel reparto di Rianimazione, dove venne mantenuta in coma farmacologico per tre giorni consecutivi. Al suo risveglio comincia il valzer degli spostamenti tra la Rianimazione e il reparto di Medicina. I familiari accusano il personale di quest’ultima unità operativa di scarsa professionalità e mancata organizzazione, elogiando invece l’equipe dell’altro reparto. Sabato 22 dicembre la donna perde nuovamente conoscenza ed entra in coma. Solo il giorno prima si era risvegliata mentre era sotto osservazione in Rianimazione. Il suo trasferimento dalla Medicina è durato parecchi minuti, tra un ascensore guasto e la difficoltà a reperire la chiave di una delle porte d’accesso ai reparti. “Non credevo ai miei occhi – spiega il figlio – eppure ho assistito a scene desolanti, con mia mamma in fin di vita distesa su una barella e attaccata a un respiratore artificiale sballottata dai medici in cerca di un ascensore funzionante e l’autorizzazione ad accedere nel reparto al pianoterra del presidio di via Palazzi”. Dopo due giorni l’ottantenne ha riaperto gli occhi, riconoscendo i familiari pur rimanendo legata ad un macchinario per respirare. L’ultimo mercoledì del 2012, la sua ripresa convince i medici a predisporre un nuovo trasferimento nel reparto di Medicina dove invece la situazione precipita. “La mascherina per farla respirare artificialmente non aderiva al volto di mia sorella – accusa Concetta, ex infermiere professionale presso l’ospedale San Martino di Genova – Segnalazione confermata anche da un anestesista”. Ieri il decesso.

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