“Non ha risarcito vittime ma si è ravveduto”, Cassazione: “Valutare libertà per Sultano”

 
0

Gela. Decise di collaborare con la giustizia, ormai quattordici anni fa. A seguito di una condanna definitiva a trent’anni di detenzione, il cinquantaduenne Marcello Sultano dovrebbe finire di espiare completamente la propria pena nel novembre del 2028. L’ex stiddaro, che scelse di mettersi alle spalle il suo trascorso di mafia, ha però deciso di chiedere la concessione della libertà condizionale, che gli permetterebbe di anticipare la conclusione del periodo detentivo. E’ sottoposto ai domiciliari. Il legale che lo assiste ha ottenuto una decisione favorevole dalla Corte di Cassazione. I giudici hanno disposto che la posizione di Sultano venga rivalutata dal tribunale di sorveglianza di Roma, che invece aveva respinto la richiesta di libertà condizionale. L’ordinanza è stata impugnata in Cassazione e i giudici, considerando anzitutto la condizione di collaboratore di giustizia, hanno spiegato che ci sono i presupposti per concedergli il beneficio. Sultano ha cambiato vita e si è “ravveduto”, come sostenuto anche dalla difesa. Il tribunale romano aveva respinto la richiesta, basandosi sulle mancate iniziative risarcitorie in favore delle vittime dei reati, per i quali il cinquantaduenne fu condannato. Sultano, quindi, non avrebbe agito per risarcire le vittime. Un aspetto che secondo la Cassazione non può essere decisivo per il riconoscimento della libertà condizionale.

“Questa Corte ha ripetutamente affermato che, ai fini della concessione della liberazione condizionale chiesta da un collaboratore di giustizia, ai sensi dell’art. art. 16-nonies, d.l. 15 gennaio 1991, n. 8 il giudice, nel valutare il sicuro ravvedimento dell’istante, deve tener conto di indici sintomatici del “sicuro ravvedimento”, quali l’ampiezza dell’arco temporale nel quale si è manifestato il rapporto collaborativo, i rapporti con i familiari e il personale giudiziario, lo svolgimento di attività lavorativa, di studio o sociali, successive alla collaborazione, non potendo assumere rilievo determinante la sola assenza di iniziative risarcitorie nei confronti delle vittime dei reati commessi”, così si legge nella sentenza di Cassazione. I giudici precisano che “non si afferma, quindi, che l’aspetto debba essere ignorato ma che non possa essere utilizzato per disapplicare surrettiziamente il dettato del legislatore”. Per chi ha chiuso la porta al passato criminale, decidendo di collaborare con la giustizia, il mancato risarcimento dei danni causati alle vittime non può quindi essere decisivo rispetto alla possibilità di ottenere una liberazione anticipata. Il tribunale di sorveglianza di Roma dovrà nuovamente pronunciarsi, a seguito dell’annullamento con rinvio disposto dalla Cassazione e richiesto anche dalla procura generale.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here