Omicidio Mendola, nel giudizio bis in Cassazione niente pena ridotta per Lembo

 
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Il cadavere fu ritrovato nei boschi di Pombia

Novara. Nessuna modifica, al ribasso, della pena impostagli per l’omicidio del trentatreenne gelese Matteo Mendola. La Corte di Cassazione, nel giudizio bis, ha confermato i trent’anni di reclusione ad Antonio Lembo, reo confesso del delitto. Fu lui, cinque anni fa, ad ammettere di aver ucciso Mendola, il cui corpo venne trovato in un capannone abbandonato nei boschi di Pombia, in provincia di Novara. Chiamò in causa l’imprenditore edile Giuseppe Cauchi, indicandolo come mandante ma ha anche ritrattato durante un confronto in aula. Quest’ultimo, assolto in primo grado, lo scorso aprile è stato condannato in appello a ventisei anni di reclusione e a sua volta si rivolgerà alla Cassazione. Per la posizione di Lembo, il difensore, l’avvocato Gabriele Pipicelli, ha nuovamnte proposto ricorso ai giudici romani. Avevano annullato con rinvio, una prima volta, rispetto al punto del riconoscimento delle attenuanti generiche. La Corte d’assise d’appello di Torino, però, confermò la pena e adesso anche la Cassazione ha escluso aggiustamenti rispetto all’entità della condanna. A trent’anni di reclusione, con pena ormai definitiva, è stato condannato anche l’altro killer, Angelo Mancino. Lembo e lo stesso Mancino spararono a Mendola e lo finirono colpendolo più volte in testa.

Il trentatreenne, i cui familiari si sono sempre costituiti parti civili nei giudizi, venne attirato in una zona isola. Secondo gli inquirenti, si sarebbe trattato di un piano studiato, forse per uno sgarro nell’ambito della criminalità dell’hinterland del varesotto, dove risiedevano tutti i coinvolti. Non è mai stata esclusa l’ipotesi del credito in denaro vantato da Mendola nei confronti di Cauchi. L’imprenditore però ha sempre negato ogni accusa.

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