Omicidio Mendola, ventisei anni a Cauchi: era stato assolto in primo grado

 
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I carabinieri nei luoghi del ritrovamento del cadavere di Matteo Mendola

Torino. I giudici della Corte d’assise d’appello torinese hanno disposto la condanna, a ventisei anni di reclusione, per l’imprenditore edile gelese Giuseppe Cauchi. La decisione è stata da poco comunicata, con la lettura del dispositivo. Cauchi, che ha vissuto nell’hinterland lombardo, era accusato di essere il mandante dell’omicidio del trentatreenne Matteo Mendola. Il corpo della vittima, anche lui originario di Gela, fu ritrovato nei pressi di un capannone dismesso, a Pombia, nella zona di Novara. I due killer, Antonio Lembo (per il quale si attende un’ulteriore decisione della Cassazione rispetto all’entità della pena) e Angelo Mancino, sono stati condannati, in abbreviato, a trent’anni di detenzione. Per gli inquirenti piemontesi, attirarono Mendola a Pombia, tra i boschi, per poi finirlo. Fu raggiunto da colpi di pistola e il cranio venne spaccato con una vecchia batteria da auto. Cauchi, difeso dagli avvocati Flavio Sinatra e Cosimo Palumbo, era stato assolto in primo grado, al termine del dibattimento tenuto in Corte d’assise, a Novara. Oggi, invece, pur riconoscendo le attenuanti generiche, i giudici di Torino l’hanno ritenuto colpevole. I difensori si sono opposti alla richiesta di ergastolo, avanzata dalla procura generale. I pm hanno impugnato l’assoluzione, ritenendo che ci fossero gli elementi per individuare la responsabilità dell’imprenditore gelese, che ha sempre escluso di aver nutrito astio verso Mendola. Per i difensori, non avrebbe avuto alcun motivo di volerne la morte. I legali, già in fase di indagine, hanno posto tanti dubbi sull’attendibilità di Lembo, che chiamò in causa Cauchi, subito dopo l’arresto. Spiegò che sarebbe partito dal gelese l’ordine di uccidere Mendola, forse per ragioni di denaro. L’inchiesta si concentrò anche su eventuali interessi maturati nel mondo della criminalità della provincia di Varese, dove Cauchi e Mendola risiedevano. Lembo ritrattò, durante un confronto tenuto in primo grado. Ai giudici di appello, di recente, ha invece spiegato di sentirsi in pericolo e di essere stato minacciato, anche in carcere. I pm, nel corso delle indagini, hanno dato forte valore alle indicazioni fornite dal killer.

I magistrati della Corte d’assise d’appello di Torino, pur non accogliendo la richiesta di ergastolo, hanno comunque deciso per la condanna, che a questo punto sarà impugnata dai difensori di Cauchi. I familiari di Mendola, come parti civili, stanno seguendo tutti i procedimenti partiti a seguito dell’omicidio. Anche le parti civili hanno concluso per la condanna dell’imputato.

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