Pagarono il pizzo ma non favorirono la mafia gelese, assolti 2 imprenditori

 
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Gela. Scatta l’assoluzione per due imprenditori finiti a processo con l’accusa di favoreggiamento personale, aggravato dall’aver avvantaggiato le consorterie mafiose locali.

Per uno degli imputati mancano le prove; l’altro, invece, ritrattò la versione fornita agli inquirenti. Si è chiuso in questo modo il dibattimento nei confronti di Giuseppe Barone e Giovanni Donzello. I magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta li accusavano di aver negato le richieste estorsive ricevute dai clan locali. I due sono stati impegnati in appalti pubblici, banditi dall’ente comunale, relativi soprattutto all’installazione delle luminarie per la celebrazione della santa patrona e ad interventi nei cimiteri cittadini. “Nel caso di Donzello – ha spiegato in aula il pubblico ministero Luigi Leghissa – è emerso chiaramente che la sua azienda lavorò a Gela solo dopo il 2001 e non, invece, durante il periodo indicato dall’ex dipendente comunale che si sarebbe occupato di acquisire il denaro delle estorsioni per conto dei clan e dell’allora reggente Crocifisso Smorta”. La richiesta assolutoria, in ogni caso, è arrivata anche per Giuseppe Barone. “Nell’interrogatorio reso nel luglio del 2013 – ha proseguito il pm nella sua requisitoria finale – Barone ha ammesso di aver pagato almeno un milione delle vecchie lire per la messa a posto. Ha confermato che i soldi vennero richiesti per i ragazzi in carcere e per le loro famiglie. Chi glieli chiese fece capire che a Gela bisognava pagare per lavorare. Non a caso, subi’ un furto di materiale elettrico nel cantiere del cimitero e si rivolse al dipendente comunale che si occupava di raccogliere il denaro delle estorsioni”. In questo modo, è passata la linea difensiva portata avanti dagli avvocati Giovanni Cannizzaro e Giorgio Terranova. “Barone – ha confermato Cannizzaro – ha esposto chiaramente la sua versione durante l’interrogatorio del luglio di due anni fa. Ha ammesso di aver pagato a chi si occupava di fare da tramite per i clan. In ogni caso, non fu mai versata la cifra di sette milioni delle vecchie lire. Barone si limitò a pagare circa un milione”. L’azienda di Donzello, a differenza di quanto indicato dall’ex dipendente comunale collettore delle estorsioni, non lavorò in città in periodi precedenti al 2001. “Il mio assistito – ha concluso l’avvocato Terranova – non è presente in nessun atto di questo procedimento. Non ha mai avuto alcun ruolo”. Così, il collegio presieduto dal giudice Paolo Fiore, affiancato dalle colleghe Silvia Passanisi e Ersilia Gazzetta, ha accolto le richieste arrivate dal pm Leghissa assolvendo entrambi gli imputati. A svelare molti particolari di quel giro d’estorsioni furono diversi collaboratori di giustizia.

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