Spari contro bar, la pistola e i jeans di marca: “Abbiamo riconosciuto Liardo e Martines”

 
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Immagine di repertorio

Gela. Chi sparò venne individuato dal modello di jeans indossato. E’ una delle tracce che gli investigatori seguirono, dopo i colpi di pistola esplosi contro la saracinesca del bar “Rouse”, in corso Aldisio. Per gli inquirenti, in sella all’Honda Beverly usato per arrivare nei pressi dell’attività commerciale, c’erano Giuseppe Liardo e Carmelo Martines, sono entrambi imputati nel giudizio scaturito dall’indagine “Donne d’onore”. I finanzieri intervenuti, trovarono bossoli e ogive, calibro 45. L’azione venne ripresa per intero dai sistemi di videosorveglianza installati tra le tante attività commerciali di quel tratto di corso Aldisio. In aula, davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Marica Marino e Silvia Passanisi), è stato sentito uno dei finanzieri che si occupò degli approfondimenti. E’ emerso che Liardo e Martines erano già conosciuti, per alcuni trascorsi. Lo scooter usato per spostarsi sarebbe stato nella disponibilità di Martines. I colpi d’arma da fuoco, invece, sarebbero stati esplosi da Liardo. “In testa aveva un cappellino – ha spiegato il militare – però, lo abbiamo riconosciuto dal tipo di andatura e dai jeans con le toppe colorate. Era un modello che indossava spesso”. Gli spari contro il bar sarebbero stati una ritorsione ai danni dei gestori. La pistola impugnata quella notte di quattro anni fa, secondo l’esito delle indagini, sarebbe stata usata per un’altra intimidazione, contro l’appartamento di un imprenditore locale.

“Quando arrivò davanti al bar con la pistola in pugno – ha detto inoltre il finanziere – c’era un avventore che stava acquistando delle sigarette da un distributore automatico attiguo. Si accorse di quello che stava accadendo e fuggì via, impaurito”. L’avvertimento ai gestori del bar è solo uno degli episodi che hanno dato vita all’inchiesta “Donne d’onore”, concentrata sul ruolo di Nicola Liardo, padre di Giuseppe Liardo, che seppur detenuto avrebbe continuato a far filtrare gli ordini, attraverso i familiari. A processo ci sono anche Monia Greco, Dorotea Liardo, Salvatore Raniolo, Calogero Greco, Carmelo Martines e Giuseppe Maganuco. Sono difesi dagli avvocati Giacomo Ventura, Flavio Sinatra, Carmelo Tuccio, Davide Limoncello, Cristina Alfieri, Antonio Impellizzeri, Francesco Enia, Maurizio Scicolone.

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