Un operaio morto e altri colleghi dell’indotto malati, chiesti venticinque rinvii a giudizio

 
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Gela. Venticinque richieste di rinvio a giudizio. I magistrati della procura le hanno formulate, davanti al giudice dell’udienza preliminare Paolo Fiore, nei confronti di ex responsabili, tecnici e funzionari di raffineria Eni e di alcune aziende dell’indotto.

L’Ona è parte civile. Tutto parte dalla morte di un operaio, per anni dipendente di una delle cooperative dell’indotto Eni. Così, sono emersi anche altri casi di colleghi colpiti da patologie. Tra le accuse mosse, oltre a quelle di lesioni, anche l’omicidio colposo. Intanto, il giudice dell’udienza preliminare ha ammesso la costituzione di parte civile della sezione locale dell’Osservatorio nazionale amianto, associazione che raggruppa lavoratori ed ex operai della raffineria, per anni a contatto con le pericolose fibre d’amianto. In base alle accuse, i manager e i tecnici finiti davanti al giudice non avrebbero adottato tutte le necessarie misure di precauzione destinate ad evitare che gli operai entrassero in contatto con sostanze e materiali pericolosi, a partire proprio dall’amianto. Le accuse, però, vengono respinte dai difensori dei venticinque. I legali dei manager Eni escludono che spettasse ai propri assistiti vigilare rispetto alle modalità di svolgimento dei lavori da parte delle aziende dell’indotto. Le difese degli allora responsabili delle cooperative, compresa l’avvocato Giovanna Cassarà, hanno invece sottolineato come gli indagati fossero soltanto soci lavoratori che, quasi a rotazione, si alternavano alla guida delle cooperative. Si tornerà davanti al gup il prossimo novembre. Altri legali di difesa, compreso l’avvocato Giacomo Ventura, esporranno le proprie conclusioni. In quell’occasione, spetterà al gup decidere se accogliere o meno le richieste di rinvio a giudizio.

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