Un video per incastrare 4 carabinieri: il giudice, “ombre su un loro collega”

 
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Gela. Lo scorso luglio, il giudice Domenico Stilo li condannò a quattro anni di reclusione ciascuno con l’accusa di calunnia.

Le motivazioni del giudice. In base alle contestazioni, il presunto boss Giuseppe Alferi e Francesco Giovane avrebbero alterato un video per accusare quattro carabinieri dell’incendio di una Mercedes classe A in via Po. Nelle motivazioni della sentenza, di recente pubblicate, il giudice comunque lancia pesanti dubbi sulla condotta processuale e sulle dichiarazioni rese in aula dal maresciallo dei carabinieri Giovanni Primo, per il quale ha confermato la necessità di “un approfondimento con la trasmissione degli atti alla procura della repubblica affinché verifichi la sussistenza degli estremi per attivarsi in tal senso”. Il giudice Stilo, inoltre, precisa che “esistono evidenti ombre nella deposizione resa dal maresciallo, costellata da dichiarazioni verosimilmente false”.

Il video artefatto. Il carabiniere, insieme ad altri colleghi, venne sentito in aula come testimone per cercare di ricostruire l’intera vicenda di un video successivamente rivelatosi del tutto artefatto. “Le dichiarazioni – si legge ancora nella motivazione – pur non essendo state idonee a mettere in discussione la prova della colpevolezza degli imputati in ordine all’operazione messa da questi in atto per calunniare le odierne parti offese, non hanno tuttavia consentito di mettere in luce alcuni aspetti importanti, di cui il maresciallo era verosimilmente a conoscenza”.

Quattro carabinieri danneggiati. Nel procedimento penale, i quattro carabinieri accusati attraverso il video, Vincenzo Giuca, Stefano Di Simone, Giovanni Rizzo e Francesco Mangialardo, si sono costituiti parte civile con l’avvocato Gabriele Cantaro. Alla fine, gli è stata riconosciuta una provvisionale da diecimila euro ciascuno proprio per i danni subiti. I punti oscuri della deposizione resa dal militare non sarebbero pochi. “Il maresciallo – scrive ancora il giudice – non ha chiarito in maniera sufficiente il perché la persona che fece la telefonata in anonimo alla stazione dei carabinieri aveva interesse a parlare con lui per riferirgli l’identità di colui che era in possesso del filmato originale”. Tutti elementi che hanno convinto il magistrato a disporre la trasmissione degli atti in procura.

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