E’ vera crisi o un cambiamento strutturale dell’economia?

 
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Gela. Siamo sicuri che questa sia una crisi, più o meno lunga, o stiamo assistendo ad un cambiamento strutturale dell’economia mondiale dato dal cambiamento dell’orientamento del pensiero economico? Il contributo fallimentare offerto dalla teoria e dalla politica economica sollecita un profondo rinnovamento. Ma se non esaminiamo a fondo le debolezze della teoria e delle policy dominanti e il loro legame con le cause delle difficoltà economiche odierne e se non si delinea una strada teorica alternativa le vecchie idee torneranno ad imporsi. Sul terreno delle policy siamo arrivati alla separazione fra politica monetaria, confinata entro orizzonti di breve periodo, e una politica fiscale, condannata a essere un fattore di distorsione da minimizzare per favorire la crescita, con margini di manovra molto ristretti. Ciò porta a rivalutare il ruolo della domanda aggregata. Oggi ci troviamo in presenza di un deficit di domanda aggregata sia a livello internazionale che a livello europeo.

Il pensiero economico che ha portato il sistema finanziario globale sull’orlo del disastro e che ha causato il fallimento di migliaia di imprese e sono costate il posto a milioni di lavoratori, circola ancora fra noi. Se vogliamo comprendere le difficoltà odierne ed evitare che si prepari il terreno ad una nuova e peggiore crisi nel giro di qualche anno, dobbiamo comprendere le idee di stampo liberale che ci hanno portato a questo punto. Esse sono:

La Grande Moderazione. Si pensava che rappresentasse la fine del ciclo economico (fine delle fluttuazioni), grazie alla deregolamentazione dei mercati finanziari. La crisi economica scoppiata nel 2007 segna la fine per questa idea della Grande Moderazione. Da ora in poi, si ipotizzava, le fluttuazioni economiche nazionali si sarebbero in larga misura annullate a vicenda e si sarebbe potuto temperare il rischio senza interventi governativi. Bastava che gli investitori detenessero portafogli diversificati e che il capitale fluisse liberamente dove più elevato era il suo rendimento;

L’ipotesi dei Mercati Efficienti. Essa afferma che i mercati finanziari sono la migliore guida possibile per il valore dei beni economici e, quindi, per le decisioni in materia di investimenti e di produzione. Ciò richiede non solo che i mercati finanziari facciano l’uso più efficienti possibile dell’informazione, ma che siano sufficientemente ben sviluppati per comprendere tutte le fonti di rischio economicamente rilevanti. Questi sviluppi alla fine hanno prodotto la crisi finanziaria.

L’economia del “Gocciolamento”. Afferma che nel lungo periodo politiche favorevoli ai ricchi produrranno benefici per tutti rispetto all’alternativa di imposte progressive e politiche redistributive di welfare sociale.

Non è mai stato specificato il periodo di tempo in cui si supponeva che i benefici della crescita sarebbero colati giù fino alla classe dei meno agiati. L’esperienza degli Stati Uniti nell’era del liberismo è stata una confutazione dell’ipotesi del gocciolamento. I benestanti hanno migliorato le loro condizioni e i ricchi sono diventati super-ricchi. Quelli della fascia intermedia della distribuzione del reddito hanno lottato per mantenere la posizione, e quelli che stavano in basso hanno peggiorato la loro situazione economica; 

La privatizzazione. I governi pensano alle privatizzazioni come un modo per risolvere i problemi di finanza pubblica. Ministri con risorse insufficienti per perseguire i loro progetti preferiti, per finanziare tagli delle tasse o, semplicemente, per affrontare deficit di bilancio crescenti, hanno visto la vendita di attività di valore come una fonte agevole e priva di costi politici per procurarsi risorse monetarie.

In alcuni casi posti di fronte all’esigenza di spendere soldi per modernizzare le infrastrutture, i governi hanno utilizzato le privatizzazioni come un modo per spostare il problema al settore privato. I numerosi crolli pongono in evidenza due fatti evidenti: se non si destinano risorse in infrastrutture e manutenzione si mette in pericolo la vita delle persone e l’economia di intere zone. Inoltre, la semplice privatizzazione di infrastrutture, come le autostrade, non necessariamente consente di realizzare benefici.

Allora se si vuole invertire la tendenza e far ripartire l’economia bisogna cambiare indirizzo teorico e va preso atto che senza un rilancio della domanda aggregata a livello internazionale, vale a dire un programma di spesa pubblica concordato dai paesi europei, e senza recuperi di competitività nei paesi periferici dell’Unione monetaria europea, non si avranno stabili prospettive di crescita, ma come nel caso della crisi del ’29, si correrà il rischio di cadere in una vera e propria depressione.

Se dei paesi fortemente aperti rilanciano congiuntamente la loro domanda interna, una parte importante del vincolo esterno è eliminato: ogni paese aumenta la sua domanda per i prodotti dei suoi vicini; ogni paese vede, dunque, incrementare le sue importazioni, ma le esportazioni seguono lo stesso movimento.

Cambiato il panorama teorico e venendo meno il clima di austerità, si devono effettuare investimenti per la crescita dei territori. Per quanto riguarda la realtà di Gela dopo la chiusura della raffineria, nel breve periodo, non si ravvisano alternative di investimenti il altri settori in grado di sostituire un’economia basata sull’industria. Eppure l’agricoltura rappresenta, attualmente, l’unica attività economica che riesce ad offrire posti di lavoro e quindi riesce a garantire un reddito. Ma le criticità sono tante: pensiamo al problema della sicurezza nelle campagna, la precarietà delle strade rurali, il mercato agricolo e il problema dell’acqua per irrigare i campi. La crescita del settore agricolo, conferma le enormi potenzialità dell’agricoltura, ma si devono affrontare le distorsioni della filiera e il flusso delle importazioni selvagge dall’estero, che fanno concorrenza sleale alla produzione nazionale. Nelle campagne, oggi, i prezzi sono crollati e i raccolti non riescono a coprire più i costi di produzione. Allora bisogna effettuare investimenti per risolvere tali criticità per sviluppare un’agricoltura di qualità in grado di produrre il reddito che prima era prodotto dalla raffineria.

Alessandro Morselli, Università di Roma Unitelma Sapienza

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