I summit di mafia nel magazzino del supermercato, accuse all’ex titolare: parlano i collaboratori di giustizia

 
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Gela. Riunioni, lontane da occhi indiscreti, tra affiliati di vertice a cosa nostra e i capi della stidda ancora a piede libero. La messa a posto di un operatore del settore. Veri e propri summit di mafia che si sarebbero tenuti all’interno di uno dei magazzini di proprietà di Carmelo Manuello. L’ex gestore di supermercati è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, proprio perché, stando ai magistrati della Dda di Caltanissetta, avrebbe messo a disposizione i magazzini pur conoscendo lo spessore criminale dei partecipanti alle riunioni. Una conferma in tal senso, davanti al collegio penale presieduto da Miriam D’Amore e composto anche dai giudici Marica Marino e Silvia Passanisi, è arrivata da tre collaboratori di giustizia, già ai vertici di cosa nostra locale. Carmelo Billizzi, Fortunato Ferracane e Crocifisso Smorta hanno ribadito che, almeno inizialmente, le attività commerciali di Manuello erano finite nel mirino dei clan. Il titolare dei supermercati doveva pagare periodicamente. “Ad un certo punto, però – ha spiegato Carmelo Billizzi – ho deciso che non doveva più pagare perché si era messo a disposizione, concedendoci il magazzino per le riunioni”. I tre collaboratori di giustizia hanno risposto alle domande arrivate dal pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta. Nelle loro deposizioni, inoltre, hanno ammesso che l’imputato avrebbe fatto da tramite per la messa a posto di un altro operatore del settore, pronto ad avviare un supermercato in città. La difesa, sostenuta in aula dall’avvocato Francesco Enia, però, ha soprattutto cercato di valutare quanto dichiarato dagli ex vertici della mafia locale. Non a caso, è emerso il ruolo di Paolo Palmeri, tra gli affiliati di spicco a cosa nostra, ma all’epoca dei fatti gestore della macelleria interna al supermercato dell’imputato. I tre collaboratori hanno confermato la partecipazione dello stesso Palmeri ai summit. Per la difesa, infatti, l’imputato sarebbe solo una vittima delle imposizioni dei clan e non, invece, un favoreggiatore.

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