L’ultimo “gol” di Roberto, gli amici del calcetto in divisa ai funerali dell’amico

 
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Gela. La maglia numero 5 con la scritta “Voddo” e la sciarpa della Juventus si confondevano con i fiori sopra la bara portata a spalla dagli amici del calcetto. L’ultimo viaggio di Roberto Voddo, 43 anni, fioraio stroncato da un infarto sabato sera durante una partita di calcetto, è stato straziante.

Il corteo funebre ha attraversato da via Cimabue tutto corso Vittorio Emanuele. I suoi compagni di squadra indossavano la maglia del calcetto. Altri quella della Juventus, l’amata squadra del cuore. Momenti strazianti quando il corteo si è fermato in via Marconi, dove insiste il negozio con una scritta gigante. “Ciao Roberto”.

L’uomo aveva già acquistato i biglietti della gara con il Catania da mesi. Domenica avrebbe dovuto essere allo Juventus Stadium per assistere insieme ad un amico alla gara. “Ne parlavamo da mesi – dice Massimo, straziato dal dolore – avevamo anche preparato uno striscione con la scritta “Gela è qui”. Lo avevo chiamato sabato mattina prendendolo in giro: “Stanotte ti chiamo alle 3,30, mi farai perdere il volo per Torino”. Poi quella terribile telefonata. É morto un fratello, non un amico”.

Roberto non aveva problemi di salute. Giocava due volte a settimana a calcetto. Era uno che ci teneva a vincere sempre. Lavoratore serio e schivo, aveva due passioni: il calcetto e la Juventus. Sabato sera la tragedia. Aveva giocato una decina di minuti, poi aveva chiesto il cambio e tornato in panchina. Si sentiva affaticato. Intorno alle 18,40 ha chiesto di tornare in campo. Si è lavato il viso con le mani ma ancor prima di entrare si è improvvisamente accasciato sull’erba sintetica del campo di via Madonna del Rosario. Cinque minuti terribili per i compagni di squadra, che hanno provato a rianimarlo. Roberto ha perso subito conoscenza ed i tentativi del 118 sono stati inutili.

Doriana Di Stefano, la moglie di Voddo, domenica ha voluto che gli amici assistessero ugualmente alla partita Juventus-Catania nella sua abitazione di via Cimabue.  In un clima surreale, anche il prete ha dovuto pregare con la tv accesa e sintonizzata sulla partita e con il corpo di Roberto dentro una bara. Forse anche Roberto forse avrebbe voluto così.

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