Minacciato collaboratore Angelo Bernascone: Pm, “Non può deporre”

 
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Gela. Il collaboratore di giustizia Angelo Bernascone e la sua famiglia non possono ritornare in città perché destinatari di pesanti minacce. Un allarme lanciato in aula dal pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta Gabriele Paci.

Bernascone, ieri mattina sentito davanti alla corte presieduta dal giudice Lirio Conti durante una delle udienze del processo scaturito dall’operazione “Tagli Pregiati”, ha recentemente ripreso a collaborare con i magistrati.
Per questa ragione, è stato reinserito nel programma speciale di protezione.
“Angelo Bernascone – ha detto il pm – non può essere sentito in quest’aula. Ha subito gravi minacce. Non avrebbe la giusta serenità per rendere le proprie dichiarazioni”. Pressioni che non si sarebbero limitate al collaboratore di giustizia: la sua stessa famiglia sarebbe stata presa di mira.
Durante la prossima udienza, fissata per il 17 luglio, dovrebbe essere più chiara la soluzione da adottare allo scopo di consentire l’audizione dello stesso Bernascone. Intanto, il collaboratore di giustizia non ha mancato di descrivere alcuni particolari emersi dall’indagine “Tagli Pregiati”.
“Mi sono occupato di diversi cantieri al nord – ha detto – compreso quello per la realizzazione della centrale termoelettrica di Tavazzano. I primi avvertimenti giunsero nel 1999, quando venne distrutta dalle fiamme la mia Mercedes. Da quel momento in poi, fu Antonio Rinzivillo a volermi incontrare. La mia azienda metalmeccanica doveva essere a disposizione del clan”.
Bernascone, così, si è descritto come una vittima dei clan orbitanti nella galassia di cosa nostra. Pressioni e obblighi di pagamento nei cantieri del nord confermati anche da uno degli imprenditori finiti nel sistema d’affari di cosa nostra dislocata in Lombardia.

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