“Non erano badanti” ma cadono le accuse di sfruttamento contro due operai

 
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Gela. Cade l’accusa di sfruttamento dell’immigrazione clandestina e scatta la condanna a due mesi di reclusione ciascuno per N.F. ed E.F., padre e figlio.

Alla fine, il giudice Chiara Raffiotta li ha riconosciuti colpevoli della sola falsificazione degli atti necessari alla regolarizzazione di tre migranti, due cinesi e una donna marocchina.

Al centro delle indagini, infatti, sono finiti i due operai, difesi dall’avvocato Salvo Macrì, accusati di aver fatto passare per badanti i tre cittadini extracomunitari. Dai controlli effettuati, però, emerse la falsità delle indicazioni contenute negli atti ufficiali. I migranti, almeno sulla carta, si sarebbero dovuti occupare d’accudire un’anziana.
La donna, però, raggiunta dagli ispettori incaricati, negò qualsiasi bisogno di sostegno, escludendo di conoscere i tre. L’avvocato Macrì è riuscito a dimostrare che non sussistevano i presupposti per il reato di sfruttamento dell’immigrazione clandestina. Per questa ragione, in base alle sue richieste, il pubblico ministero ha accolto il patteggiamento presentato.
Il legale ha messo in luce come le irregolarità riguardassero esclusivamente i documenti utilizzati per regolarizzare la posizione dei tre migranti.

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