Omicidio Padovano, parla l’ex sicario gelese Mendolia

 
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Lecce. Un ex sicario gelese, Carmelo Mendolia, sta raccontando in questi giorni alla corte d’Assise di Lecce l’omicidio di Salvatore Padovano.

E dalle sue dichiarazioni emergono particolari agghiaccianti. “Il piano era di sterminare tutta la famiglia di Salvatore Padovano, compresa la compagna e il figlio, ma io non me la sono sentita”. La vittima è il boss della Sacra corona unita Salvatore Padovano, avvenuto il 6 settembre del 2008 a Gallipoli, nei pressi della pescheria “Il Paradiso del Mare”. Nascosto dietro un paravento celeste di tipo medico, Mendolia, collaboratore di giustizia e già autoaccusatosi dell’omicidio (ha scelto il giudizio abbreviato ed è stato condannato a 14 anni di reclusione), ha ricostruito tutte le fasi dell’esecuzione. Un delitto di mafia scaturito dai contrasti sorti tra i Padovano all’indomani della loro scarcerazione.

In quest’ottica, secondo la ricostruzione accusatoria, sarebbe scaturita la volontà del fratello Pompeo Rosario Padovano, in qualità di mandante, di far uccidere Salvatore, alias “Nino bomba”. “Rosario – ha detto Mendolia – mi contattò e mi disse di voler uccidere il fratello per odio personale e motivi personali. Lui, infatti, dopo essere uscito dal carcere pretendeva di comandare e dava fastidio a tutti. Aveva anche scritto uno strano libro”. Le indagini sulla morte di “Nino Bomba”, infatti, hanno permesso di far luce anche sull’omicidio di Carmine Greco, risalente al lontano 13 agosto 1990. Un delitto avvenuto nell’ambito della gestione del traffico di sostanze stupefacenti. Greco avrebbe “spacciato ingenti quantitativi di droga sul territorio di Gallipoli da “cane sciolto”, senza rendere conto della sua attività all’organizzazione”.

Anche in questo caso Rosario Padovano sarebbe il mandante, Mendolia l’esecutore materiale. “Mi promise 10mila euro e un mezzo per allontanarmi, una Bmw”, ha proseguito Mendolia. “Inoltre di aiutarmi e mettere su una mia attività in Lombardia, dove Rosario mi avrebbe presentato delle persone nell’hinterland milanese”. “Sono arrivato nel Salento agli inizi di settembre, per controllare gli spostamenti e studiare il territorio. Poi accompagnai la mia compagna ad Adelfia, in provincia di Bari, a casa dei suoi genitori.

Mi dissero Che Salvatore andava spesso al “Paradiso del mare”. “Mi procurarono anche le armi, prima dei fucili di caccia, e io dissi che non andavano bene per l’omicidio perché erano ingombranti e non erano automatici. Poi un Kalshnikov in cattive condizioni e senza munizioni. Infine due pistole, una Beretta calibro 9 e una pistola giocattolo modificata, e scelsi queste”. Il collaboratore di giustizia ha poi ricostruito le drammatiche fasi di quella mattinata. “Dopo averlo agganciato nei pressi di un bar, con uno scooter, l’ho seguito fino alla pescheria”. “Lui – ha raccontato Mendolia – è rimasto a lungo nella pescheria, così ho chiesto a Giorgio Pianoforte (il proprietario della pescheria e cugino dei Padovano, Ndr), fingendo di non conoscerlo, di farlo uscire con la scusa di spostare l’auto. Appena è uscito gli ho sparato tre colpi, lui ha cercato si rifugiarsi all’interno del “Paradiso del mare”, ma io l’ho raggiunto e gli ho sparato il colpo di grazia. Poi sono fuggito con lo scooter”.

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