Scandalo a Gela: l’ex covo confiscato alla Stidda occupato abusivamente

 
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Gela. Doveva essere un centro sociale a disposizione del quartiere ma ci vivono degli abusivi. Il 4 gennaio del 2007 le telecamere entrarono per la prima volta in uno dei covi della Stidda. Nel 1990 in quell’immobile in tufi di via Giacomo Amato 63 si organizzò la strage del 27 novembre con otto morti e sette feriti.

Lo stato si impadronì di quel simbolo della mafia, consegnandolo al Comune. Doveva diventare un centro sociale per i giovani del quartiere Settefarine. A distanza di cinque anni di quel centro non solo non c’è traccia ma da simbolo della mafia è diventato emblema di ogni illegalità. Vi abitano le figlie dell’ex boss della Stidda Crocifisso Lauretta. Non solo. Al piano terra e primo piano è stato innalzato un secondo piano e sono spuntati i telai in metallo sul terrazzo.

Come è potuto accadere tutto questo? Chi avrebbe dovuto custodire un bene della mafia confiscato? Chi ha permesso che qualcuno ci vivesse arrivando anche al punto di costruire un altro piano abusivamente? Sono domande che per adesso non hanno risposta. Di certo c’è un’indagine della squadra mobile di Caltanissetta che sta accertando cosa sia realmente accaduto.

Il piano terra e il primo piano era tra l’altro già nella disponibilità del Comune, che li aveva acquisiti al proprio patrimonio in virtù di una ordinanza di demolizione mai eseguita dal suo proprietario. Successivamente intervenne il provvedimento del ministero dell’Interno con il provvedimento di confisca. L’allora sindaco Rosario Crocetta aveva deciso di trasformare quel rudere in un centro sociale per i più giovani del quartiere periferico. Una struttura a disposizione di tutto il rione, gestita da una cooperativa o da un’associazione. La prefettura comunicò all’allora sindaco la decisione della direzione generale dell’Agenzia del demanio. Il Comune chiese un finanziamento al ministero dell’Interno per poter ristrutturare l’immobile. Nel frattempo qualcuno ha continuato ad occupare quella casa. Tra le altre cose non è stata rispettata neanche l’ordinanza dell’amministrazione comunale che obbliga le società di servizi a non stipulare contratti con chi non possiede la  sanatoria edilizia. Eppure in quella casa acqua e luce vengono normalmente erogati. Sembra anche che la famiglia abbia chiesto in passato di poter regolarizzare la propria posizione, ma appare ovvio che non si possa concedere alcuna sanatoria per un bene che appartiene allo Stato.

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