Texas GHELAS hold’em

 
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Vediamo di non barare, eh!

O, se proprio non potete resistere e avete timore che, dal vostro viso, si intercetti il colore e il seme delle carte che adesso avete in mano, allora fate come i giocatori di Texas hold’em

che si nascondono dietro occhiali scuri per dissimulare l’emozione o, in alternativa, il dispiacere di non avere la carta vincente.

Appresa la notizia delle dimissioni di Vincenzo Romano, ormai ex presidente della Ghelas e amico fidato della giunta (si può dire o dobbiamo per forza sciorinarne il curriculum?), dimissioni rassegnate quasi con fazzoletto bianco svolazzante in segno di saluto mentre salpa su una scialuppa decisamente migliore, vi ho immaginato tutti seduti ad un tavolo da gioco.

Di quelli importanti, eh! Non preoccupatevi, se state pensando che vi ho immaginato a giocare a “nome cose e città“, non è così.

Giocavate a carte. O meglio, passati dalle stanze del “Colle”, dove si discetta di temi tipicamente presidenziali come le consultazioni, in realtà vi ho un po’ declassato lo so, ma so che mi perdonerete perché siete buoni e caritatevoli.

Bene Signori, il gioco ha inizio. Ha inizio il torneo di “Texas Ghelas Hold’em”.

Fate il vostro gioco e mettete gli occhiali scuri, scuri come tutto quello che ruota intorno alla bramosia che vi ha preso dentro non appena la notizia del saluto di Romano vi ha raggiunti.

Non è vero? Non ci credo. Non barate!

Ora. Al di là di tutta la dissertazione – che mi annoia brutalmente fare – su “i veri signori si riconoscono al tavolo da gioco” che mi farebbe sbadigliare tanto quanto il leitmotiv di presidentissima memoria “indietro non si torna” e bla bla bla bla…Signori giocatori, è arrivato il vostro momento! Insomma Signori, ma vi rendete conto della fortuna spudorata che vi ha concesso il cielo? Pensateci per un momento, tal Romano si dimette e adesso il prossimo presidente della Ghelas potresti deciderlo proprio tu! Tu che da ieri sera non fai altro che chiamare e richiamare per stringere accordi, alleanze, promesse di impegno e piazzare uno dei tuoi. Anzi, scusate, uno dei competentissimi, illuminati, catarifrangenti…sempre dei tuoi.

Sì, per esempio, tu! Folletto del bosco del Megafono (se siete bravi ci arrivate da soli al nome) che, poco ci manca che ti farai chiamare pure astronauta per la notoria capacità di voler accentrare tutto intorno a te. Se fossi una grazia ricevuta saresti di certo l’abbondanza, quella smisurata, a tratti maleducata, che si misura con la devozione, con la capacità di coprire fatti e misfatti della persona cui si è devoti.

Non è vero? Non ci credo. Non barare.

Sì, non solo ti immagino seduto al tavolo da gioco. Ti immagino pure scalzo che innalzi preghiere al cielo come i devoti il 2 luglio. Se fosse un cammino, il tuo, non sarebbe – banalmente – che ne so, quello di Compostela. No, sarebbe il cammino per la Ghelas. Non è vero? Non ci credo. Non barare.

Oppure tu, che già nel nome contieni l’acronimo del tuo partito. Proprio tu che passi ore e ore al telefono per tracciare analisi, misurare ipotenuse, scoprire l’arcana, dolorosa, agghiacciante, ragione del potenziale crollo dei consensi di un partito, un tempo splendido, spolverato e rispolverato, rinato o non rinato. Tu che studi ipotesi e linee per far risorgere e risplendere, come un tempo, l’idea stessa di un partito sdoppiato – al suo interno – dalle lotte intestine

Non è vero? Non ci credo. Non barare.

Signori, è il momento di puntare.

Quanto? Lo sapete pure voi, su! Non barate.

All in!

Ps. Si rende noto che vi è anche l’ipotesi “sorpresa”. Nonostante i potenziali giocatori assetati di Ghelas, il torneo potrebbe essere vinto da uno che non si è mai seduto al tavolo, ma stavolta, visto il momento, mi sembra difficile. In quel caso, è possibile proporre ricorso chiamando il centralino della Ghelas.

(l’immagine proposta è tratta dalla copertina di “La nobile arte del bluff”, l’ultimo romanzo dello scrittore newyorkese Colson Whitehead, edito in Italia da Einaudi)

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