Bomba indotto, arrivano i primi licenziamenti si teme rivolta sociale

 
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Gela. In attesa di conoscere il futuro della Raffineria di Gela, le imprese che operano per l’indotto cominciano a ufficializzare i primi licenziamenti.

Da ieri 15 addetti alla coibentazioni della “Riva e Mariani” fanno parte ufficialmente della lunga lista dei senza lavoro. Si sommano ai 40 metalmeccanici licenziati dalla Tucam, l’impresa che si occupava delle manutenzioni degli impianti della fabbrica del colosso energetico Eni insieme alla Smim impianti. In questa circostanza sono 130 i lavoratori in cassa integrazione ormai dall’inizio dell’anno. A rischio occupazione sono anche i 90 dipendenti della Ecorigen, l’azienda chimica francese che effettua lavori di rigenerazione dei catalizzatori paga il fermo prolungato degli impianti della raffineria che non garantisce più la fornitura delle materie prime per i processi di lavorazione.

“Non vorremmo che per attirare l’attenzione del governo italiano fossero necessari fatti eclatanti come quelli avvenuti al gasdotto in Libia, dove una rivoluzione ha azzerato le istituzioni di quel Paese”, minaccia il coordinamento di lotta rappresentato dai consigli comunali di Gela, Butera, Niscemi, Mazzarino, Sommatino, Vittoria, Acate e Priolo che oggi si riuniranno in seduta straordinaria e urgente presso l’impianto GreenStream, l’approdo gelese del gasdotto libico. “E’ finito il tempo del silenzio – accusa Angelo Fasulo, sindaco di Gela – ritroviamo l’unità per tutelare l’occupazione”. Intanto ieri, il presidente della commissione Ambiente del senato, Giuseppe Marinello non ha incontrato il governatore Rosario Crocetta. La seduta annunciata dagli scranni dell’Aula consiliare del comune di Gela è stata rinviata a data da destinarsi. Il presidente della regione era stato convocato anche per fare chiarezza sulle iniziative intraprese dal governo siciliano dal luglio 2013. Ovvero, dal giorno dopo avere sancito l’accordo con i vertici Eni per rilanciare la Raffineria di Gela e riconvertirla con la produzione in gasoli di qualità, grazie ad un investimento da 700 milioni di euro. A distanza di un anno lo scenario economico è completamente mutato, tanto che Claudio Descalzi, amministratore delegato dell’Eni, a seguito della crisi che ha colpito il mondo della raffinazione, ha annunciato il mancato riavvio del sito di Gela scatenando rabbia e delusione. A Gela i primi a mobilizzarsi sono stati i lavoratori e i sindacati, seguiti a ruota dai politici e dagli esponenti della chiesa. Il vescovo della Diocesi di Piazza Armerina, Rosario Gisana, dopo avere implorato i vertici dell’Eni a tornare sui loro passi garantendo l’ aumento del livello occupazionale, ha proclamato per domani una giornata di digiuno e preghiera. “La stagione del petrolio è finita – tuonano Fabio Granata e Monica Frassoni, coordinatori nazionali di Green Italia –Stop a raffinazione e trivellazioni, subito bonifiche, risarcimenti e rigenerazione industriale”. Secondo Claudio Barone, segretario generale della Uil Sicilia, “La situazione è drammatica e dopo i primi licenziamenti al petrolchimico di Gela, conseguenza diretta della mancanza di commesse di lavoro, adesso è allarme per la tenuta della coesione sociale”. Teme un “pericoloso effetto domino”, Luigi Ulgiati, segretario nazionale dell’Ugl Chimici. “Quanto sta accadendo nel polo petrolchimico di Gela – spiega – è destinato a ripetersi anche negli altri territori interessati dal drastico piano industriale deciso da Eni. Abbiamo formalizzato una richiesta di incontro al ministero dello Sviluppo economico e ci aspettiamo una risposta positiva a breve”

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