Gela. “Si presentavano in negozio e portavano via tute e scarpe senza neanche pagare”. Il titolare di un negozio di articoli sportivi ha deposto durante il dibattimento che si sta celebrando
nei confronti di Guido Argenti e Giuseppe Novembrini, accusati d’estorsione per aver operato come esattori del racket per conto dei clan locali.
“Dicevano – ha continuato l’esercente – che servivano per i detenuti e, soprattutto nei periodi festivi, chiedevano un contributo in denaro”. I due imputati, finiti davanti al collegio presieduto dal giudice Paolo Fiore, affiancato dalle colleghe Manuela Matta e Patrizia Castellano, avrebbero agito per conto degli ex vertici del clan di cosa nostra, da Rosario Trubia e Fortunato Ferracane.
I fatti contestati risalgono agli anni novanta, quando i clan controllavano il giro d’estorsioni. Durante l’udienza, è stato sentito un altro commerciante che ha confermato le richieste ricevute. “Portavano via materiale di ogni tipo – ha precisato – e le perdite per la mia attività erano ingenti”.
Davanti al collegio, inoltre, ha deposto uno degli agenti di polizia che si occupò delle indagini. I due imputati sono difesi dagli avvocati Maurizio Scicolone e Giuseppe Smecca. Parti civili, invece, rappresentati dall’avvocato Elisa Nuara, si sono costituiti i rappresentanti delle locali associazioni antiracket.
Pubblichiamo una nota di replica inoltrata dal difensore dell’imputato Guido Argenti, l’avvocato Giuseppe Smecca.
In riferimento alla notizia pubblicata sul “Quotidiano di Gela”, ed avente ad oggetto due presunte estorsioni realizzate da Argenti Guido in danno di un esercente, nella qualità di difensore di fiducia dell’imputato, preciso quanto segue.
L’esercente che ha deposto ieri in aula non ha riferito di essere stato mai minacciato da Argenti Guido, né di avere subìto violenza. Con riferimento ad uno dei due episodi in questione, infatti, il predetto esercente ha dichiarato che si è trattato di una normale trattativa avente ad oggetto il costo di una tuta, per cui ci troviamo semplicemente al cospetto di una parte che – in quanto venditrice – cerca di guadagnare il più possibile, e di un’altra parte che, invece – in quanto acquirente – cerca di risparmiare qualcosa. Figuriamoci, poi, se è possibile pensare che un soggetto si renda responsabile di estorsione per euro 9,90, ovvero la differenza tra il prezzo dell’articolo (€ 19,90) e la somma proposta dall’acquirente ai fini dell’acquisto (€ 10,00), il tutto senza violenza e minaccia, così come ha confermato l’esercente. Circa, poi, il secondo episodio, anche in questo caso l’esercente ha riferito di non avere subìto violenza o minaccia, ma molto più semplicemente l’imputato ha preso l’articolo riferendo che andava provato, per cui avrebbe pagato in seguito proprio per appurare che l’articolo in questione andasse bene. Ebbene: Argenti Guido non ha portato via l’articolo contro la volontà dell’esercente, né ha minacciato o avanzato pretese nei confronti di quest’ultimo, ragion per cui non è stata realizzata estorsione alcuna. A conforto di quanto sinora detto, poi, preme rilevare che la Procura antimafia ha inteso rinunciare all’escussione di alcuni collaboratori, e ciò appunto perché è emersa con tutta evidenza l’infondatezza dell’accusa. Vogliate, pertanto, pubblicare la presente, onde così l’informazione del caso possa essere trasmessa in maniera corretta.
Distinti saluti
Avv. Giuseppe Smecca