Appalti, droga e night…gli affari dei clan in Lombardia: “Fabio Nicastro mi minacciò e lasciai i lavori”

 
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Gela. “Con il traffico di droga non ho mai avuto nulla a che fare. Insieme ad altri amici, quando gli affari andavano bene in Lombardia, utilizzavamo solo dosi per le serate nei night. Ma erano per uso personale”.

“Fabio Nicastro mi minacciò e lasciai i lavori”. A testimoniare, davanti al collegio penale del tribunale presieduto dal giudice Lirio Conti, è stato un ex imprenditore finito, insieme ad altri ventidue imputati, al centro del processo scaturito dalla maxi inchiesta antimafia “Tagli pregiati”. “Riuscì ad avere diversi appalti – ha spiegato davanti ai giudici – per un certo periodo, le cose andavano molto bene. Il mio punto di riferimento in Lombardia era Massimo Incorvaia. Ogni tanto, nel suo ufficio, vedevo Angelo Bernascone. Non so dire, però, di cosa parlassero”. Nella zona di Busto Arsizio, l’imprenditore, come ribadito in aula, dovette cedere alcuni lavori dopo le richieste arrivate da Fabio Nicastro, affiliato di spicco di cosa nostra nel varesotto. “Non lo conoscevo – ha continuato – ma si presentò come esponente mafioso. Così, decisi di tirarmi indietro, lasciandogli gli appalti. Avevo paura”.

“Bernascone non coprì mai gli assegni…”. Nel corso dell’udienza, ad essere sentita, è stata anche un’altra imputata, per alcuni anni segretaria nelle aziende avviate, in Lombardia, da Angelo Bernascone. “Nella mia vecchia azienda – ha detto – le cose andavano male. I pagamenti arrivavano in ritardo. Così, per il tramite di una collega di lavoro, conobbi Angelo Bernascone e venni assunta in un’azienda che si occupava di gestire operai per i cantieri avviti alla centrale Enel di Tavazzano. Addirittura, Bernascone mi chiese di firmare almeno due assegni in bianco da undicimila euro ciascuno. Non vennero mai coperti sul mio conto personale e venni protestata. Non ho mai saputo a cosa fossero serviti quei soldi”. I testi hanno risposto alle domande poste dal pm della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta Gabriele Paci e dai difensori degli imputati, compreso l’avvocato Giacomo Ventura. Proprio Bernascone, che ha ripreso a collaborare con i magistrati, ha voluto rendere dichiarazioni spontanee. “I due assegni da undicimila euro ciascuno – ha ammesso – mi servirono per pagare il pizzo ai Rinzivillo”.

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