Armi, droga e guardianie imposte agli imprenditori, cinque negano tutto davanti al giudice

 
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Gela. Del presunto gruppo mafioso controllato dai Trubia e del giro di droga non saprebbero nulla. “Da anni faccio il guardiano tra le serre…”. Altri cinque indagati, finiti in manette a conclusione del blitz “Redivivi”, si sono difesi davanti al giudice delle indagini preliminari del tribunale di Caltanissetta Marcello Testaquadra. Ruggero Biundo ha confermato di aver fatto da guardiano in diverse aziende agricole della fascia trasformata, tra Mignechi, Bulala e Spinasanta. Non lo avrebbe fatto, però, dopo averlo imposto con le minacce o spendendo il nome dei Trubia. I contatti con diversi imprenditori agricoli di quella zona, come ribadito davanti al gip, li avrebbe curati nel corso di diversi anni di attività. Una ricostruzione condotta dall’indagato al fianco del suo legale di fiducia, l’avvocato Annarita Lorefice che comunque si appresta a proporre riesame contro il provvedimento di custodia cautelare firmato dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta.

Crisci e Tasca negano di aver spacciato per i Trubia. Si sono difesi, respingendo qualsiasi addebito, anche Fabio Crisci e Cristofer Tasca. A loro, difesi dall’avvocato Giovanni Cannizzaro, vengono contestate accuse legate soprattutto allo spaccio di droga proprio per conto del gruppo Trubia. Hanno categoricamente escluso di far parte di un’organizzazione mafiosa.

La difesa di Rolla ha chiesto la revoca della misura. Emanuele Rolla, a sua volta finito al centro del blitz, ha rigettato l’accusa di essere affiliato alla famiglia criminale dei Trubia. Difeso dall’avvocato Grazio Ferrara, ha messo in luce come di lui parlino soltanto altri indagati senza, però, fare riferimenti certi. Non a caso, il difensore ha già chiesto la revoca della misura di custodia cautelare in carcere.

“Ho lavorato due mesi insieme a Davide Trubia”. Non avrebbe mai avuto la disponibilità di una pistola calibro 7,65, invece, il ventenne romeno Petrut Ursica. Anche al giovanissimo viene contestata l’appartenenza al gruppo mafioso, oltre al possesso di un’arma clandestina. Assistito dall’avvocato Salvo Macrì, ha ammesso di conoscere i Trubia solo per ragioni lavorative. Sarebbe stato alle dipendenze di Davide Trubia per circa due mesi. Veniva impiegato nella raccolta della plastica tra le serre. Ha negato di aver mai avuto a disposizione armi per intimidire possibili vittime. L’avvocato Macrì, a questo punto, chiederà un ulteriore approfondimento degli atti, senza escludere il ricorso al riesame. 

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