Segni particolari: Donatrice di organi

 
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“Buongiorno, dovrei richiedere il rilascio di una nuova carta d’identità”

“Sì, ci dia i suoi dati”

“Evita Lorefice, nata a Gela il 25.09.84, residente in Gela, DONATRICE DI ORGANI”.

“Sarà pronta fra quattro giorni”.

Ieri sera, sono stata invitata a seguire un convegno al Club Vela. Aveva ad oggetto il “Dono” largamente inteso e la possibilità di esprimere la propria volontà di donare gli organi all’atto della richiesta del nuovo documento di identità. Insomma, riguardava la decisione più importante della nostra esistenza: lasciare un’orma in questa vita, un sentiero, qualcosa. Solo che non ci pensiamo mai, non ci fermiamo mai a chiederci come farlo davvero e quando lo facciamo pensiamo che lasciare un euro a quel ragazzo che vende accendini per strada basterà a mettere la X nella casella “buona azione della giornata”.

Quando ieri sera li ascoltavo e ascoltavo le testimonianze di due capitani d’amore come Ersilia Spadea, che ha donato il midollo osseo salvando la madre, e Nicola La Cognata, anche lui donatore di midollo, pensavo al dolore e a come questo possa saccheggiarci. O no.

Pensiamo per un attimo a come siamo stati, a come staremmo, se perdessimo qualcuno per sempre, se non ne potessimo più sentire la voce e la sensazione di inevitabile sicurezza che sentirci amati ci dà e alla perdita di equilibrio che subiremmo se cosi più non fosse. Se ce lo strappassero.

Chi di noi sarebbe in grado di cercare un medico per dire “sì dono gli organi, prego dottore tagliuzzi mio figlio anche se è morto, mio padre, mio marito, così regalo una speranza ad un’altra madre, un’altra figlia e gli evito il buio, il black out che fa l’anima quando perdiamo qualcuno”. Lo cerchereste? Lo cerchereste come hanno fatto i genitori di Nicholas Green che, dandoci una lezione , hanno donato gli organi del figlio ucciso in Italia . Come hanno fatto i genitori di Aurelia Triberio, bella sportiva strappata alla vita mentre correva sul lungomare.

O- e questo è il tema – penseremmo oggi, che siamo in vita, di disporre di ciò che sarà domani del nostro corpo? Che oggi presuppone “solo” salire all’ufficio anagrafe, portare foto formato tessera e dire, “sì, donatrice!”. Capitana d’amore. E sorridere.

E lì ho pensato subito a un atto di civiltà, un dovere morale, fare in modo che il nostro trapasso si trasformi in un’occasione per qualcun altro. Ho pensato che siamo chiamati a lasciare qualcosa di noi, un sentiero da seguire. Questo è il progetto “ una scelta in comune” per favorire la convenzione tra Centro Regionale Trapianti e Comune di Gela che, simbolicamente, ha ricevuto la firma, come impegno, del sindaco Domenico Messinese e della dottoressa Bruna Piazza.

Il Tema della morte, questo lo sappiamo, non è un tema affascinante. Nessuno di noi, per esempio, si sognerebbe mai di istituire una tavola rotonda e dire ”oggi parliamo di quando non ci saremo più”. Il punto è che ieri si parlava della vita, di salvare qualcuno, di evitargli il buio e per quanto questo ci sembri una cosa a cui pensiamo, ma a cui ottemperiamo con quell’accendino comprato da un ragazzo per strada, salvo poi ovviamente lamentarci che son tutti quì e che non tornano a casa propria, non è esattamente in quel modo che si onora la vita.

E qui entra in gioco ciò da cui tutti fuggiamo, il dolore, la paura della perdita, l’oblio e anche per questo il progetto prevede che ognuno di noi decida per sè stesso, per evitare che un atto così personale venga delegato alla decisione di una madre, per esempio, che – certamente accecata dal dolore – cercherebbe piuttosto un rosario cui affidare le sue pene piuttosto di un medico cui affidare le cornee della figlia. E quì entra in gioco anche chi ha conosciuto il dolore e il suo fratello gemello signor perdita, ma anche chi, nello stesso modo, ha conosciuto l’amore: figli della stessa corona ma di casati diversi.

Se lo abbiamo conosciuto e ci siede accanto ogni giorno e ci guarda con gli occhi vitrei di chi dice ”tanto non me ne andrò“, non possiamo permettere che il nostro passaggio in questa esistenza sia così silente da non lasciar traccia di noi. È questo, in fondo, che il dolore ci insegna dopo un po’, che nonostante tutto, per quanto provi a peggiorarci, a incattivirci, noi siamo più forti e abbiamo imparato che, se possiamo, abbiamo il dovere di evitare il buio a qualcun altro.

“Signora, ci sono buone notizie, sua figlia ha ancora una speranza. Una ragazza che oggi ci ha lasciati ha compiuto il suo dovere perché è una DONATRICE, una capitana d’amore”.

Strappate le vostre vecchie carte d’identità!

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