“Sono agricoltori e non mafiosi!”, scoppia il caso delle serre nelle aree protette: “Su 90 ettari solo abusivi”

 
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Gela. Serre “abusive” e accuse reciproche. Il caso appare tutt’altro che chiuso anche all’indomani dell’inchiesta condotta dal settimanale l’Espresso.

“Altro che agricoltori criminali!…”. “In questa città – spiega il presidente dell’ordine provinciale degli agronomi Piero Lo Nigro – non esistono agricoltori mafiosi o criminali. Le serre e le coltivazioni che si sono estese lungo la fascia dunale, nelle aree di Bulala e in quelle trasformate, sono state legittimate dal pagamento di canoni demaniali. Molti agricoltori continuano ancora oggi a pagare. Peraltro, occupano soltanto una minima parte dell’area sotto tutela”. Stando a Lo Nigro, quelli che vengono indicati come “criminali” sono invece operatori del settore che quotidianamente mantengono un complesso sistema economico fatto di almeno 5 mila occpati. “La riserva protetta del Biviere – continua – è stata istituita nel 1996. Fino al 1980, in questo territorio non c’era alcun divieto d’installazione di serre lungo la fascia dunale. Peraltro, parliamo di un’area che ospita quasi duecento aziende con certificazione biologica. Altro che criminali! I dati forniti sono assolutamente fuori da qualsiasi logica. Si fa riferimento a 90 ettari su un totale, però, di 2.500”.

“Su 90 ettari sono tutti abusivi”. Una ricostruzione che, però, sembra non trovare riscontro nelle parole del responsabile della riserva orientata Biviere Emilio Giudice. “La fascia dunale – ribatte – è sotto tutela con vincolo idrogeologico dal 1929. E’ sempre stata una zona protetta. Non a caso, dai dati forniti dall’ufficio regionale che si occupa di monitorare le zone demaniali, risulta che su circa 90 ettari nessuna delle aziende che ha installato serre, e non solo, è in regola. Sono abusivi. Solo un operatore aveva ottenuto il rilascio di una concessione che, a quanto ci risulta, sta per essere revocata. Purtroppo, anche per il tramite dei piani di sviluppo rurale, si sono garantiti fondi europei ad attività che non hanno nulla di sostenibile. Hanno finanziato le serre con l’inganno”. Attività, quelle intensive, che non convinco per nulla l’esponente della Lipu. “Vogliamo parlare delle tonnellate di rifiuti speciali che con l’erosione della costa in quella zona finiscono praticamente in mare? – aggiunge Giudice – le certificazioni biologiche, spesso, sono soltanto un alibi. Vorrei capire con quali parametri vengono rilasciate”. Il muro che separa agricoltori, imprenditori del settore e responsabili delle aree protette sembra tutt’altro che scalfibile: tra serre, campi e aziende.

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