“Una bomba per festeggiare la scarcerazione di Alferi”, parla Cascino

 
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Gela. Una bomba fatta esplodere per festeggiare la scarcerazione del presunto capo Giuseppe Alferi. Il collaboratore di giustizia Emanuele Cascino, ex fedelissimo di Alferi, lo ha confermato durante la sua deposizione davanti al collegio

presieduto dal giudice Lirio Conti, affiancato dai magistrati Fabrizio Molinari e Manuela Matta. L’ex figlioccio di Giuseppe Alferi è stato sentito nel corso di una delle udienze del processo scaturito dalla maxi inchiesta antimafia “Tagli Pregiati”.
Sono ventidue, in totale, gli imputati, tutti accusati di aver fatto parte dei gruppi locali di cosa nostra ma, soprattutto, di quello retto dallo stesso Alferi.
“Avevamo alcune bombe a disposizione che arrivarono da Messina – ha spiegato Cascino – per festeggiare la scarcerazione di Alferi ne utilizzammo una nella sua villa di campagna. Ricordo molto bene che si creò un grosso buco nel terreno”.
Il collaboratore di giustizia, rispondendo alle domande formulate dal pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta Gabriele Paci, ha ripercorso le tappe essenziali della sua militanza tra le fila del gruppo Alferi.
“Lasciai gli Emmanuello – ha detto – perchè la famiglia non aveva più la stessa forza. Per Giuseppe Alferi ero come un figlio. Il novanta percento dei furti e dei danneggiamenti che si verificavano in città erano sicuramente opera nostra. Chi voleva la restituzione di auto o furgoni rubati ci doveva assicurare un regalo. Era il cavallo di ritorno. Per le auto nuove, si pagavano almeno 3 mila euro”.
Ma la rottura con diversi esponenti del gruppo per Cascino arrivò intorno al 2007.
“Prima – ha confermato – sono stato oggetto di un avvertimento perchè avevo una relazione con la figlia di uno dei nipoti di Alferi. Lo stesso Alferi, successivamente, mi inviò dal carcere una lettera. Non si concludeva, come le altre, con tvb, ovvero ti voglio bene, ma con tbv, cioè ti brucio vivo. Avevo trattenuto una parte dei soldi pagati da un imprenditore per riavere la Mercedes che gli avevo rubato. Alla fine, ho scelto di collaborare con la giustizia”.
Stando a Cascino, la banda Alferi non avrebbe avuto rapporti né con cosa nostra né con la stidda. “Alferi – ha aggiunto – non voleva essere un mafioso. Sicuramente, aveva più contatti con la famiglia Emmanuello. Con la stidda, invece, ci furono problemi. I fratelli Nicastro cercarono di mettere sotto estorsione un commerciante che già pagava al gruppo Alferi. Offesero proprio Giuseppe Alferi, dicendo che era buono solo per raccogliere ferro. La sera stessa, andammo nelle loro abitazioni e sparammo alle porte d’ingresso e all’auto di Davide Nicastro. Alferi voleva ucciderli”.
Il punto di riferimento del gruppo e di chi cercava di riottenere auto o mezzi rubati, secondo il collaboratore, sarebbe stata la rivendita di cd musicali gestita dallo stesso Cascino. “Tutti sapevano dove trovarmi – ha precisato – passava tutto da lì”.
Ha scelto di non rispondere alle domande, invece, l’altro testimone Fabio Russello. Nuovi testimoni verranno sentiti nel corso della prossima udienza, già fissata per il 17 dicembre. Parti civili nel procedimento, oltre ad alcuni imprenditori estorti, sono il comune e le associazioni antiracket.

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